Migranti lungo la rotta balcanica: triplicati dallo scorso gennaio

L’Europa guarda con preoccupazione al numero crescente di sbarchi che convogliano migliaia di migranti e rifugiati nei Paesi UE che si affacciano sul Mediterraneo. La fuga da guerre e miseria ha conosciuto un’impennata dall’inizio dell’anno, tanto che anche la cosiddetta rotta dei Balcani, via terra, è tornata a «gonfiarsi» nel corso degli ultimi mesi.
Secondo l’Agenzia europea delle guardie di frontiera Frontex, da gennaio a giugno sono state individuate oltre 70.000 persone sulla rotta balcanica, tre volte di più rispetto allo stesso periodo del 2021 e a un livello mai visto dopo la crisi del 2015-2016 quando quasi un milione di persone erano passate per tale cammino che in realtà comprende diversi percorsi. «Attualmente è la rotta migratoria verso l’UE più attiva», ha stimato Frontex lo scorso 12 agosto. A Subotica, città del nord della Serbia, sono migliaia le persone originarie del Maghreb ma anche dell’Asia, che recentemente si sono ammassate lungo il confine con l’Ungheria. Una situazione che non si vedeva dal 2015. Abbiamo cercato di capire cosa accade al confine tra Slovenia e Italia, sentendo Gianfranco Schiavone, presidente della Onlus «Consorzio italiano di solidarietà», ossia l’ente che dal 1998 gestisce il sistema di accoglienza e di protezione dei rifugiati a Trieste.
«In Italia - afferma Schiavone - registriamo un aumento degli arrivi in quanto dalla seconda metà del 2021 la procedura illegale delle riammissioni informali sul confine italo-sloveno (i profughi venivano costretti a tornare in territorio sloveno n.d.r.) è cessata. Quindi al confine orientale italiano le persone che chiedono protezione internazionale ottengono subito l’accesso alla procedura che purtroppo non è veloce». Questi tempi lunghi per l’accesso all’accoglienza si registrano anche in altri Paesi europei. E così a Trieste nell’estate 2022 è esploso il problema della mancanza di posti di prima accoglienza. «Ciò è dovuto al fatto che da inizio luglio, e il problema persiste a tutt’oggi, vi è stato un rallentamento drastico dei trasferimenti da Trieste verso altre città del Paese, che - rammenta Schiavone - avviene sulla base delle indicazioni fornite alla Prefettura di Trieste dal ministero dell’Interno. Se prima i richiedenti asilo rimanevano nel capoluogo del Friuli-Venezia Giulia per pochissimi giorni, ora vi rimangono per settimane».
Nel frattempo, però, gli arrivi di migranti continuano, per cui il sistema di smistamento è gravemente ingolfato. All’inizio di questa settimana, nota Schiavone, vi erano almeno 250 persone senza posto. «Ed è una condizione che per molti migranti arrivati da noi perdura da 15-30 giorni. Il nostro ente, il Consorzio italiano di solidarietà - precisa il nostro interlocutore - ha fatto ben sette segnalazioni ufficiali alle autorità competenti, ma a tuttora il problema non è stato risolto». A Trieste ai primi posti per numero di arrivi figurano i cittadini di Afghanistan e Pakistan. Vi sono poi iracheni, iraniani e ultimamente sono aumentati gli arrivi dalla parte curda della Turchia.
«La maggior delle domande presentate a Trieste viene accolta - chiosa il presidente della Onlus - la media dei rigetti in prima istanza è del 37% contro una media nazionale del 56%. Ciò è dovuto al fatto che la rotta balcanica è percorsa prevalentemente da persone che hanno un bisogno oggettivo di protezione». «La prefettura, a cui spetta la ridistribuzione dei richiedenti protezione in varie località italiane, in luglio e agosto si è mostrata inadempiente, lasciando le persone letteralmente sulla strada».
I profughi e i migranti che non vogliono fermarsi in Italia rischiano di finire nella rete dei trafficanti. «Oggi nessun viaggio verso altri Paesi europei è organizzato dagli stessi migranti - afferma Schiavone - ciò avveniva in passato, ma gli accresciuti controlli e l’adozione dei respingimenti hanno favorito l’aumento delle organizzazioni che gestiscono il traffico dei migranti, alle quali i profughi devono rivolgersi per bypassare i controlli ed evitare i respingimenti». L’effetto paradossale dell’aumento dei controlli, sottolinea l’esperto di migrazione, è che ciò ha favorito le organizzazioni criminali.