Inchiesta

Minori rischi e profitti più alti: l'oro illegale vale più della cocaina

Le organizzazioni di narcotrafficanti sono sempre più attirate dal commercio di beni naturali molto preziosi: dalle pelli di giaguaro al legname di balsa, fino a uccelli e anfibi rari – Ma è il metallo prezioso per eccellenza a rendere più di tutto, specialmente se estratto illegalmente
© Reuters/NACHO DOCE
Mario Magarò
04.02.2024 23:00

Le immagini del recente assalto di un gruppo armato all’interno di un canale televisivo di Guayaquil, divenute ben presto virali, hanno rivelato la reale portata della deriva criminale in cui versa l’Ecuador. Stando al decreto di emergenza firmato dal presidente Noboa, sono infatti una ventina le bande operanti nel Paese sudamericano, tutte legate al business del narcotraffico, tradizionale marchio di fabbrica del crimine organizzato in America Latina.

Los Choneros, Los Lagartos, Los Lobos, sono solo alcuni dei gruppi locali che si contendono, a suon di violenza, le alleanze con i grandi cartelli del narcotraffico, in primis quelli messicani, che da alcuni anni hanno convertito l’Ecuador in un hub del traffico internazionale di cocaina, con i porti di Anversa e Rotterdam come destinazioni principali insieme al mercato statunitense. Una situazione resa ancor più complessa dal recente boom delle coltivazioni di coca, che nel 2022 hanno superato i 350 mila ettari, portando la capacità di produzione di cocaina a 1.738 tonnellate nella sola Colombia.

Nonostante la floridità del mercato della cocaina, nell’ultimo decennio si è però assistito a un progressivo ampliamento, una diversificazione, del portafoglio criminale di diversi attori legati al narcotraffico, interessati agli enormi profitti garantiti dal commercio illegale delle risorse naturali presenti sul territorio, in primis nella regione amazzonica. 

Dalle pelli e altre parti di animali come il giaguaro, molto ambite sui mercati asiatici, passando per uccelli ed anfibi fino ad alcuni tipi di legname come la balsa, sono infatti numerosi i traffici illeciti aventi a oggetto la flora e la fauna. Uno su tutti, però, si sta affermando come il preferito del crimine organizzato in America Latina: il traffico di oro illegale.

Colombia e Perù

Nel luglio 2015 l’ex presidente colombiano Santos lanciò un chiaro allarme: «L’estrazione illegale dell’oro rende più del narcotraffico». Parole suffragate dai numeri, che fissano i profitti generati dall’oro illegale in Colombia tra i 2 e i 3 miliardi di dollari annui a fronte degli 1-1,5 miliardi del narcotraffico, stando a un insieme di dati forniti da autorità colombiane, agenzie delle Nazioni Unite e il think tank internazionale GI-TOC.  «L’estrazione illegale dell’oro è fuori controllo, ormai ha vinto la partita con la cocaina»  sentenzia Leonardo Guiza Suárez dell’Università del Rosario di Bogotà.

Un boom, quello dell’oro illegale, legato principalmente alla vertiginosa crescita del prezzo del metallo prezioso negli ultimi anni, in concomitanza con crisi internazionali che ne hanno esaltato il tradizionale valore di bene rifugio. Dall’attacco alle Torri Gemelle fino alle recenti tensioni in Medio Oriente, il prezzo dell’oro ha fatto registrare una costante ascesa, superando la soglia dei 2 mila dollari l’oncia. In sostanza, rispetto alla cocaina, l’oro offre vantaggi traducibili in: minori rischi e maggiori profitti.

Oltre all’aspetto economico, l’oro garantisce una parvenza di legalità assente nella cocaina, rendendone più facile e appetibile la commercializzazione. Un prodotto che può essere immesso senza problemi sul mercato una volta ripulita-falsificata l’eventuale origine illecita, come nel caso dell’oro proveniente dalle miniere illegali in Sud America, attive all’interno di parchi nazionali o riserve indigene.

Anche nel caso del Perù, secondo produttore mondiale di cocaina, l’oro illegale garantisce ormai profitti superiori al narcotraffico. Nel 2012 l’analista Elmer Cuba attestò in 1,8 miliardi di dollari gli introiti derivanti dall’estrazione illecita del minerale, una cifra salita a 2,5-3 miliardi secondo ulteriori stime delle autorità peruviane e del GI-TOC.

Oro e «vacunas»

Parlare di oro illegale in America Latina significa rifarsi, quasi esclusivamente, a un’estrazione di tipo alluvionale, setacciando i corsi d’acqua con metodi rudimentali in cerca del metallo prezioso. Se in termini di impatto ambientale, tra deforestazione e contaminazione da mercurio, l’estrazione illegale presenta problematiche speculari in tutto il bacino amazzonico, in aggiunta a numerosi casi di traffico di esseri umani, diverse sono le modalità adottate dai diversi gruppi criminali per finanziarsi con l’oro illegale.

Nel caso della Colombia, tanto i guerriglieri dell’ELN, come il Clan del Golfo ed alcuni dissidenti delle FARC, nuovi protagonisti del contesto criminale emerso dopo l’accordo di pace tra FARC e Governo colombiano, gestiscono ormai in proprio le miniere illegali, il cui oro viene contrabbandato o immesso illegalmente sul mercato, ottenendo ulteriori proventi dalle vacunas, ovvero denaro estorto ai singoli minatori per lasciarli lavorare. Una crescente brama di oro che ha visto l’ELN ed i dissidenti delle FARC sconfinare in Venezuela per accaparrarsi le ricchezze aurifere dell’Arco Minero dell’Orinoco, appositamente creato da Caracas per alleviare le asfittiche casse statali attraverso l’estrazione di minerali, ma convertitosi, piuttosto, in una zona di puro caos e illegalità.

Contesti differenti

In Brasile, invece, l’oro custodito nelle terre degli indigeni Yanomami ha scatenato l’interesse del Primeiro Comando da Capital (PCC), il gruppo criminale attualmente più potente in Sud America. Parallelamente al traffico di droga, da alcuni anni il PCC ottiene infatti ulteriori profitti fornendo armi e macchinari pesanti ai minatori, garantendo sicurezza nelle miniere e garantendosi una partecipazione diretta nell’estrazione mineraria illegale. Nel caso del Perù, la cui regione di Madre de Dios rappresenta il principale centro dell’estrazione aurifera illegale in tutto il Sud America, l’assenza di grandi cartelli locali del narcotraffico viene compensata dalla presenza di mafie locali che taglieggiano i minatori illegali. In un contesto come quello peruviano, sono piuttosto figure inquadrate formalmente come imprenditori ad ottenere profitti sia dal traffico di droga sia di oro illegale.

Facile da riciclare

Le grandi organizzazioni del narcotraffico hanno da tempo recepito le enormi potenzialità degli investimenti in oro come forma di riciclaggio.

Trasformare il denaro sporco in lingotti e gioielli

L’enorme interesse delle organizzazioni criminali nei confronti dell’oro si giustifica anche per la capacità di fungere da perfetto sistema per il riciclaggio dei proventi del narcotraffico. Uno schema sostanzialmente semplice, di puro money laundering, che prevede la conversione del denaro ottenuto dalla vendita della cocaina, abitualmente sotto forma di contanti, in oro. Una volta acquistato con i soldi del narcotraffico, l’oro viene quindi immesso sul mercato, in modo da ripulire l’iniziale origine illecita del denaro facendolo apparire come derivante dalla vendita dell’oro, perfettamente legale ed utilizzabile. «Attualmente l’oro rappresenta il miglior modo per riciclare denaro di origine illecita» racconta il pubblico ministero Paulo de Tarso Moreira Oliveira, impegnato nella lotta al traffico illegale di oro in Brasile, al portale di giornalismo investigativo Amazonia Real, aggiungendo che «chiunque voglia giustificare un incremento dei propri profitti, deve soltanto investire in oro». La Financial Action Task Force (FATF) ha evidenziato come i Paesi in cui si pratica un’attività estrattiva di tipo alluvionale come in Sud America siano maggiormente soggetti al rischio di riciclaggio di denaro. Lo dimostra, ad esempio, l’arresto di un esponente della ’ndrangheta a Lima nel 2014, che ha portato alla luce un piano per acquisire il 35% di una miniera d’oro in Perù in modo da lavare profitti di origine illecita. Anche il potente cartello di Sinaloa, come rivelato da un caso giudiziario negli Stati Uniti, ha utilizzato l’oro per ripulire i proventi del narcotraffico. Nello specifico, l’organizzazione criminale aveva escogitato un sistema che prevedeva l’acquisto di gioielli e lingotti d’oro con i soldi della droga nell’area di Chicago, per poi inviarli a una compiacente società in Florida che provvedeva a fondere l’oro e a metterlo sul mercato. Il ricavato della vendita, ripulito, veniva quindi trasferito ad una società operante in Messico, gestita dall’organizzazione. Sono molteplici i sistemi adottati per riciclare denaro «via oro» e la casistica giudiziaria aiuta a comprendere la portata e le modalità del fenomeno. Molte operazioni prevedono l’utilizzo e la creazione di apposite società di facciata, operative per pochi mesi, che servono a garantire uno schermo di, apparente, legalità all’estrazione e all’esportazione del metallo prezioso verso i mercati internazionali. Altre modalità riguardano invece il ricorso a fornitori esistenti solo formalmente, facendo così passare come legale l’acquisto del metallo prezioso, come risulta dallo scandalo Goldex in Colombia, uno dei più grandi nella storia del Paese.