Non c’è prova di corruzione in Nigeria

«Manca sia la prova della creazione di una provvista a beneficio degli intermediari sia la prova della partecipazione all’accordo corruttivo con i pubblici ufficiali». Lo si legge nelle motivazioni con cui la Corte d’Appello di Milano lo scorso 24 giugno ha assolto Obi Emeka e Gianluca Di Nardo, imputati per corruzione internazionale per il caso Eni-Nigeria.
I due in primo grado erano stati condannati in abbreviato a 4 anni di carcere in uno stralcio del processo che lo scorso marzo si è concluso con 15 assoluzioni, comprese le società, da parte del Tribunale.
Secondo la Corte «sono insufficienti» gli elementi probatori per ritenere che Obi fosse a conoscenza del piano dell’ex ministro del petrolio della Nigeria Dan Etete «di pagare delle tangenti ai funzionari pubblici nigeriani». Il suo forte legame con «l’ambiente governativo» del Paese africano, per i giudici d’Appello, si giustifica con il fatto che fosse figlio di un ex senatore e fosse lui stesso un avvocato e uomo d’affari che negli anni precedenti aveva assistito compagnie petrolifere straniere in operazioni di investimento in Nigeria. «Quindi, non deve, di per sé, essere considerato un elemento di sospetto il fatto che abbia conosciuto politici e funzionari pubblici nigeriani».
Oltre al fatto che la «definizione di Obi quale ‘uomo di Eni’ e tramite con i pubblici ufficiali nigeriani non è fondata su solide basi probatorie», per i giudici anche «le indagini sui flussi finanziari non hanno consentito di acquisire alcuna prova di versamenti di somme di denaro» ai politici della Nigeria.
Tra le altre cose, il collegio di secondo grado, nel rigettare la ricostruzione ipotizzata dalle indagini del procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e del pubblico ministero Sergio Spadaro, sostiene non solo che non ci sono «elementi idonei» a dimostrare che Obi e Di Nardo «siano stati parte dell’accordo illecito o che ne abbiano avuto consapevolezza», ma anche che non sia stato individuato il loro «contributo concreto (...) ad un accordo criminoso né alla fase esecutiva di tale accordo».
Infine, nelle motivazioni, si ritengono in sostanza legittimi tutti gli atti precedenti all’operazione di acquisizione dei diritti di esplorazione del blocco petrolifero, e per i quali sono stati versati 1 miliardo e 92 milioni di dollari, in quanto «compiuti nell’esercizio dei poteri discrezionali» e non «finalizzati a interessi diversi da quelli istituzionali».