Religione e società

«Non sono un Papa comunista»: l’autodifesa di Bergoglio

Perché il pontefice è accusato dagli avversari di avere posizioni marxiste e di essere lontano dalla dottrina della Chiesa - Anche Giovan Battista Montini subì lo stesso metro di giudizio subito dopo la pubblicazione della «Populorum Progressio», nel marzo del 1967
©AP Photo/Andrew Medichini
Dario Campione
05.05.2021 06:00

«Tra i personaggi in vista e dotati di autorità a livello mondiale - scrisse nel 2016, poco prima di morire, il sociologo Zygmunt Bauman - solo Jorge Mario Bergoglio ha compreso e definito in modo chiaro le priorità da affrontare», tra cui la lotta «contro l’ineguaglianza dilagante e profonda, contro la povertà e la sofferenza e l’umiliazione che provoca, insieme al rifiuto o alla mancanza di rispetto per la dignità umana, e quindi anche contro le loro cause». Il Papa giunto «dalla fine del mondo» ha rivoluzionato, in pochissimi anni, molti paradigmi del pensiero occidentale. Compresi quelli economici. Anzi, questi ultimi prima di altri. E ha scatenato reazioni fortissime. Soprattutto nei suoi avversari. I quali, per contrastarlo, hanno tirato fuori dagli armadi della storia del Novecento i lenzuoli impolverati del comunismo. Nel tentativo di farli indossare (a forza) agli spettri di marxiana memoria svolazzanti - a sentir loro - negli austeri corridoi dei palazzoni apostolici.

Una vecchia storia

L’accusa di comunismo, per un papa, non è in realtà nuova. Nel marzo del 1967, dopo che Paolo VI ebbe annunciato al mondo la “Populorum Progressio”, il «Wall Street Journal» parlò di «warmed up marxism», marxismo riscaldato; subito seguito dal londinese «Time» che evidenziò come alcune parti del documento paolino avessero «il tono stridente di una polemica marxista d’inizio secolo». Nel frattempo, in Italia, la stampa di destra rilanciava lo spauracchio del Papa «venduto ai comunisti». Celebre, negli annali del giornalismo d’autore, rimase il titolo del settimanale satirico «Il Borghese» di Mario Tedeschi: «Avanti Populorum alla riscossa». Lo scenario attuale è tuttavia molto diverso da quello in cui agiva Giovan Battista Montini. La Chiesa di Bergoglio, già fiaccata da un lunghissimo processo di secolarizzazione, si trova a dover fronteggiare gli effetti di una globalizzazione quasi senza più limiti. Il richiamo costante del Papa al messaggio francescano - iniziato non a caso con la scelta del nome in conclave - non piace ai paladini del mercato senza freni. Bergoglio lo sa. Ma non arretra di un passo. Semmai contrattacca. A dicembre, chiudendo il tradizionale discorso alla Curia romana, il pontefice ha ricordato come i poveri siano «Il centro del Vangelo. Quando io mi occupo dei poveri, dicono di me che sono un santo; ma quando mi domando e domando: perché tanta povertà?, mi dicono comunista». E pochi giorni fa, a Santo Spirito in Sassia, nell’omelia della “Divina Misericordia”, ha ripetuto: «Gli Atti degli Apostoli raccontano che “nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune”. Non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro».

La guerra dei teocon

«Con il crollo dell’Unione Sovietica - dice Riccardo Cristiano, vaticanista e coordinatore fino al 2017 dell’informazione religiosa dei Gr RAI - una robusta corrente teologica americana, i cosiddetti teocon, capovolse la “Centesimus Annus” (enciclica che Giovanni Paolo II scrisse nel 1991, nel centenario della “Rerum Novarum” di Leone XIII, ndr) facendola apparire come un testo che legittimava il capitalismo sulla base di un curioso assunto: l’uomo è naturalmente portato alla concorrenzialità». Ora, spiega Cristiano, «definire da un punto di vista della dottrina sociale cattolica l’uomo “naturalmente concorrenziale” significa smontare la stessa dottrina, basata sul bene comune e sulla fratellanza. Questa dei teocon, però, è diventata quasi una verità. Francesco appare ai loro occhi come un rivoluzionario intenzionato a contraddire la tesi della Chiesa custode del capitalismo». Spiega ancora Cristiano: «La Chiesa di Bergoglio vive nella storia e non è un giudice fuori dalla storia. Chi immagina la Chiesa come una società dei giusti che giudica gli altri pensandosi perfetta, è in totale distonia con il Papa, per il quale la Chiesa è parte della società, si rapporta con l’uomo e i suoi problemi e adegua in continuazione il suo modo di essere». Il contrasto tra una «Chiesa ieratica e una Chiesa popolare» è insanabile. Così come quello tra i «grandi interessi economici e politici di un certo capitalismo e le idee di fratellanza propugnate da Francesco».

Un’accusa perfida

L’accusa di comunismo rivolta al Papa è tanto paradossale quanto perfida. Tende a mettere in crisi l’autorità morale del successore di Pietro. Ma trova nelle argomentazioni dell’ex professore gesuita argentino un ostacolo quasi insormontabile. Nel settembre di due anni fa, durante l’intervista sul volo che da Antananarivo lo riportava a Roma dopo aver concluso il viaggio apostolico in Mozambico, Madagascar e Mauritius, replicando a chi evocava scissioni di parti del mondo ecclesiastico ostili a un pontificato marxista, Francesco ammise sornione: «Le critiche aiutano sempre». Per poi aggiungere: «Le cose sociali che io dico sono le stesse che ha detto Giovanni Paolo II, io copio lui. C’è chi afferma: “Il Papa è troppo comunista”, e così fanno entrare le ideologie nella dottrina, e quando la dottrina scivola sull’ideologia c’è la possibilità di uno scisma. La morale dell’ideologia ti porta alla rigidità, e oggi abbiamo tante scuole di rigidità dentro la Chiesa, che non sono scisma, ma vie cristiane pseudo-scismatiche che finiranno male».

Critiche liberali

Il tema dell’anticapitalismo di Bergoglio, tuttavia, resta d’attualità, anche se non sempre nei termini sui quali insistono quanti osservano le tesi del Papa da una prospettiva liberale. Carlo Lottieri, professore di Filosofia del diritto all’Università di Verona, è il direttore del Dipartimento di Teoria politica dell’Istituto Bruno Leoni. «Agli occhi di tanti liberali - dice - in alcune encicliche sono enunciate tesi contraddittorie. Penso a “Laudato si’”, che da più parti è giudicata discutibile dove pone grande enfasi sulla natura: non più finalizzata all’essere umano, ma ritenuta un valore in sé. Per molti cattolici liberali questo può essere in contrasto con la centralità dell’uomo. Non solo: dal Papa ci si sarebbe forse attesi una maggiore capacità di resistere all’ambientalismo dominante». Un altro problema, dice ancora Lottieri, è relativo alla cultura di provenienza del pontefice. «Bergoglio è latino-americano e la sua percezione della proprietà è diversa da quella che possono avere un europeo o, ancor più, un nordamericano. Negli USA la proprietà è legata al lavoro, allo scambio; in America latina, invece, la connessione tra proprietà e politica è sempre stata più stretta: chiaro che se quello è il “capitalismo” è doveroso criticarlo. In questo senso, andrebbe valorizzata la capacità di critica espressa dal Papa, ad esempio, riflettendo sulla disfatta epocale del socialismo peronista o sull’intreccio perverso tra interessi pubblici e privati. C’è infatti da chiedersi se quando Amazon o Apple tolgono a Donald Trump i suoi account dimostrano di essere liberi. Anche il nostro, allora, è un capitalismo dimezzato, un po’ corruttore e un po’ sotto schiaffo. Sarà allora interessante vedere se il Papa saprà ricavare dalla sua esperienza un insegnamento su questo». Sul tema del mercato, Lottieri invoca poi meno rigidità, soprattutto in relazione alle critiche espresse da Bergoglio alla proprietà privata: «L’esigenza di essere vicini agli ultimi non implica il mancato rispetto della proprietà; la condivisione che sta a cuore al Papa deve anzi muovere dalla proprietà. San Martino divide il mantello perché lo possiede». Lottieri ritiene infine che molti chiedono «un richiamo all’essenziale, all’annuncio della Salvezza evangelica; un essenziale legato al senso della vita, alle ragioni ultime, evitando una riduzione del cristianesimo a una sorta di neoumanesimo. Questo rischio va scongiurato».