Il punto

Nord Stream: che cosa accadde, veramente, a fine settembre?

Nelle scorse ore, un'indagine dell'intelligence statunitense riportata dal New York Times ha riacceso i riflettori sull'incidente avvenuto quasi sei mesi fa – Il mistero, però, sembra infittirsi ancor di più
© Danish Defence Command via AP
Federica Serrao
08.03.2023 17:45

C'è chi parlò di incidente. Chi di sabotaggio o, addirittura, di attentato. Ciò che è certo, è che quello che accadde nelle acque del Mar Baltico lo scorso settembre resta ancora un mistero. Tutto cominciò nella notte tra domenica 25 e lunedì 26, quando il centro di ricerca geologico tedesco GFZ cominciò a rilevare dei picchi improvvisi sul sismografo di Bornholm, che gli esperti identificarono come piccole esplosioni. Un evento inspiegabile, che si ripresentò a distanza di diciassette ore. Nel pomeriggio del 26 settembre arrivò infatti l'allarme dell'Amministrazione Marittima Svedese. «Dal gasdotto Nord Stream 1 sono fuoriuscite ingenti quantità di metano. Una nella zona economica svedese e una nella zona danese, in un'area a Nord-Est dell'isola di Bornholm».

Da quel momento, partirono diverse ipotesi e congetture su cosa avesse davvero causato il guasto. Ipotesi che, ancora oggi, non sono riuscite a identificare il vero colpevole. La vicenda, però, è tornata sotto i riflettori a distanza di mesi grazie a un articolo pubblicato nelle scorse ore dal New York Times, dove fonti dell'intelligence americana avrebbero definito il caso come frutto di un attacco portato a termine da alcuni membri di un gruppo filo ucraino. Vediamo, nel dettaglio, che cosa è successo.

Cosa accadde il 26 settembre

Torniamo, per un momento, a fine settembre 2022. Il guasto, dicevamo, diede origine fin da subito a diverse congetture. Per citare qualche esempio, il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, identificò la Russa come responsabile e definì l'attacco come un nuovo tentativo di destabilizzare ulteriormente la sicurezza energetica dell'Europa. Il primo ministro danese, Mette Frederiksen, prese invece la faccenda con cautela, pur non escludendo l'ipotesi del sabotaggio. In totale, si verificarono infatti ben tre fuoriuscite di gas. Troppe, per potersi focalizzare solo sulla pista dell'incidente. Anche il Cremlino si unì al coro, parlando di sabotaggio. Il portavoce Dmitry Peskov parlò di una situazione «davvero allarmante», aggiungendo che l'emergenza sulle linee del Nord Stream rappresentava un problema per la sicurezza energetica dell'intero continente. Dal canto suo, Kiev puntò invece il dito proprio contro la Russia. Lo stesso presidente ucraino Zelensky, su Twitter, commentò quanto accaduto definendolo un «attacco terroristico pianificato dalla Russia», oltre che un «atto di aggressione nei confronti dell'Unione Europea». Commenti che, a loro volta, portarono a una risposta del Cremlino, che accusò invece Stati Uniti e Ucraina di essere responsabili.

L'indagine dell'intelligence statunitense

Ovviamente, questo fu solo l'inizio. Neanche a dirlo, le indagini andarono avanti per mesi, senza però mai giungere a una conclusione. Con il passare del tempo, si delineò come sempre più probabile la pista del sabotaggio, mentre l'ipotesi dell'incidente venne poi accantonata. L'attacco al gasdotto, nel frattempo, continuò ad essere attribuito a Mosca da alcuni e da altri a Kiev. Altri ancora, addirittura, incolpavano la CIA. In breve tempo, la fuoriuscita di gas dal Nord Stream divenne quindi uno dei più importanti misteri irrisolti legati alla guerra in Ucraina. Anche se ora, come dicevamo, l'indagine riportata dal New York Times potrebbe riaccendere i riflettori sulla vicenda e chiarire i contorni di una storia ancora avvolta in una nube di mistero.

Ma procediamo con i fatti riportati dall'indagine. Secondo fonti dell'intelligence americana, il responsabile degli attacchi al Nord Stream sarebbe stato un gruppo filo-ucraino. Per riuscire nell'intento, la squadra si sarebbe servita di uno yacht noleggiato dalla Polonia, a bordo del quale — riferiscono i media tedeschi — ci sarebbero state sei persone. Un capitano, due sommozzatori, due assistenti subacquei e un medico. Il team avrebbe organizzato l'attacco nei minimi dettagli, servendosi di passaporti falsi e rendendo quindi impossibile — al momento — determinarne la nazionalità. «I funzionari statunitensi che hanno esaminato le informazioni hanno dichiarato di ritenere che i sabotatori fossero molto probabilmente cittadini ucraini o russi, o una qualche combinazione dei due due. Inoltre, hanno dichiarato che non sono coinvolti cittadini americani o britannici», si legge sempre sul Times. Il rapporto in questione, infatti, parla di sabotatori «filo-ucraini», senza però chiarire se i membri del gruppo fossero effettivamente cittadini ucraini. Al momento, si presuppone unicamente che i sabotatori facciano parte di un gruppo «che si oppone a Putin». Ma non è tutto. Nel rapporto non vengono specificate né le generalità dei membri del gruppo, né i nomi di chi avrebbe diretto o pagato l'operazione. Secondo i funzionari dell'intelligence, si esclude che le autorità ucraine abbiano avuto un ruolo nella faccenda. E, allo stesso modo, non esisterebbero neppure prove del coinvolgimento del governo russo. 

Attorno alla faccenda, dunque, c'è ancora parecchio caos. Ma le indagini non finiscono di certo qui. I funzionari dell'intelligence avrebbero addirittura ricostruito quali furono gli spostamenti dei presunti sabotatori in quei giorni di circa sei mesi fa. Secondo una prima ricostruzione, l'attrezzatura utilizzata per le esplosioni sarebbe arrivata con un camion al porto tedesco di Rostock, dove fu prelevata, con ogni probabilità, già all'inizio di settembre. L'imbarcazione avrebbe poi continuato il suo viaggio verso Wieck auf dem Darss, e in seguito verso l'isola danese di Christianso. Tuttavia, al momento della riconsegna alla società di noleggio, l'imbarcazione presentava tracce di esplosivo nella cabina. Secondo quanto rivelato dall'indagine, ci sarebbero state infatti quattro esplosioni (originate da 450 chili di esplosivo) che avrebbero provocato quella che è stata riconosciuta come una delle più grandi fuoriuscite singole di gas metano. Dopo l'incidente, non a caso, fu necessario creare una zona di esclusione per la navigazione di diversi chilometri. Senza dimenticare anche gli alti, altissimi costi per la riparazione, che secondo le prime stime si sarebbero aggirati attorno ai 500 milioni di dollari (più di 470 milioni di franchi).

Cos'è successo davvero?

Nonostante le rivelazioni del New York Times, la faccenda rimane però ancora poco chiara. Gli stessi funzionari dell'intelligence che hanno accettato di parlare con i giornalisti — in forma anonima — si sono infatti rifiutati di condividere dettagli in merito alla provenienza di queste informazioni, e tantomeno come fossero state raccolte. Ribadendo, al contrario, che si tratti di una «prima pista», e non di una conclusione definitiva. A tal proposito, secondo alcuni esperti di sicurezza internazionale, non è infatti possibile escludere che si sia trattato di un'operazione «a bandiera falsa». Ciò significa che le tracce di esplosivo rinvenute sulla nave potrebbero essere state lasciate deliberatamente per indicare l'Ucraina come colpevole. Dal canto suo, Kiev non ha perso tempo e in men che non si dica ha smentito la notizia divulgata dal Times. «Senza dubbio, l'Ucraina non è assolutamente coinvolta e non ha alcuna informazione sull'accaduto. Tutto ciò non ha il minimo senso», ha dichiarato in un comunicato Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino. «A partire dal primo giorno di costruzione degli oleodotti sul fondo del Mar Baltico, l'Ucraina ha ripetutamente richiamato l'attenzione dei suoi partner occidentali sui rischi strategici in forte aumento per la sicurezza dell'Europa derivanti dalla realizzazione di questo progetto».

Dall'altra parte, però, fa sapere il Telegraph, la Russia, che in un primo momento aveva indicato come responsabili il Regno Unito e in seguito gli Stati Uniti, ha dichiarato che quest'ultima notizia non fa altro che evidenziare la necessità di un'indagine internazionale sull'incidente, che individui i veri colpevoli. 

Nel frattempo, le autorità di Germania, Svezia e Danimarca hanno dichiarato di aver avviato ulteriori indagini sull'incidente, pur mantenendo una certa cautela. Il primo ministro svedese Ulf Kristersson, per esempio, ha fatto sapere che in Svezia è in corso un'indagine preliminare e che pertanto al momento non intende commentare la notizia divulgata dal Times. Allo stesso modo, anche il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg sostiene sia sbagliato fare speculazioni in questo momento, prima che le indagini siano effettivamente giunte a conclusione. 

Attualmente, dunque, nonostante le scottanti rivelazioni delle scorse ore, siamo ancora lontani dal sapere che cosa sia effettivamente accaduto in quella giornata di fine settembre, di quasi sei mesi fa. E il mistero, anziché delinearsi, sembra infittirsi ancor di più. 

In questo articolo: