Padre Gabriel Romanelli: «È il momento di guardare avanti»

«Speriamo che tutti continuino a dare una mano per una pace giusta, così che la guerra veramente finisca e non torni più, e quindi che non soltanto si compia la prima tappa, ma anche le successive, la seconda, la terza, tutte le tappe. E questo per il bene di tutta la popolazione palestinese e quella israeliana». Sono queste le parole di padre Gabriel Romanelli, il parroco dell’unica parrocchia latina di Gaza, La Sacra Famiglia. Dallo scoppio della guerra i locali della struttura sono diventati rifugio per molti gazawi, anche non cattolici, che qui hanno trovato soccorso, cibo, assistenza.
Padre Romanelli, qual è la sensazione? È veramente finita la guerra? «Non possiamo – risponde il parroco - averne la certezza. Per ora sono finiti i bombardamenti, la gente è più serena. È una sensazione strana. Da due anni è una di quelle pochissime volte che non abbiamo sentito droni o bombe». Contattarlo è sempre molto difficile. Spesso si trova senza internet, altre senza elettricità. Altre è troppo oberato per portare a termine la mole di lavoro che lo tiene occupato ogni giorno e grazie al quale i rifugiati nella parrocchia trascorrono le giornate. Anche grazie alle suore del Rosario e a quelle di Madre Teresa (queste ultime gestiscono una cinquantina di bambini abbandonati che soffrono di diverse malattie e handicap già da prima della guerra), si organizzano corsi e lezioni per i ragazzi, preghiere, incontri, si fa la spesa, si gioca. Per dare un senso di normalità.
In migliaia da sud a nord
Romanelli risponde alle domande inviando messaggi audio. Come stanno i gazawi? «La gente è esausta e ha sentimenti contrastanti. Si passa dall’allegria derivante dal momento e dalle promesse di pace, alla paura che dopo questa prima tappa tutto possa ricominciare, non ci sia l’implementazione del piano. Speriamo che tutti quelli interessati, soprattutto paesi come Stati Uniti e Qatar, si facciano garanti e la pace sia raggiunta e mantenuta davvero. Adesso è il momento di guardare avanti. In migliaia stanno tornando a nord da sud, per vedere che ne è della propria casa, dei propri beni. Ma sono tanti quelli che, giunti nel luogo dove abitavano, non trovano più nulla. Solo di quelli che conosco io, ci sono dieci famiglie che hanno perso tutto. Non si sa che futuro avranno, non sanno se e come potranno avere un risarcimento per quanto hanno perso. Tanti hanno bisogno di trattamenti medici che nella Striscia non possono avere».
«Gente stanca e sfiduciata»
Ci arrivano immagini di distruzione totale. Una guerra distrugge strutture ma anche la società. «Nei giorni scorsi – continua Romanelli - non ci sono stati morti per le bombe, ma vittime ci sono state, sia sotto le macerie, sia perché feriti. La gente è stanca e sfiduciata. Da una parte si vedono diversi segni che indicano che questa volta dovrebbe essere la volta buona e quindi un periodo di vera pace per la popolazione. Dall’altra parte tutti si rendono conto che la Striscia è distrutta. Le persone sono da una parte serene e tranquille anche perché hanno la sensazione che peggio non possa accadere; dall’altra parte, vedono che il futuro è difficile come lo è la realtà. Difficile anche la sicurezza interna, l’aiuto umanitario che manca. Manca di tutto. Coloro che ancora hanno una casa o qualcosa di essa, o un pezzettino di terra, o il rudere della loro casa, stanno cercando di capire come fare. Il legame con la terra, con la propria storia e la vita prima della guerra è forte. Non ci sono materiali da costruzione, non ci sono delle ruspe per pulire le strade, non c’è niente. È da più di due anni che tutto qui è distrutto, tanto è sparito. Una vita che non esiste, che fa capire che la vita sarà durissima, dopo la guerra a Gaza la vita sarà durissima».
Qual è la vostra situazione nella parrocchia? «Noi – conclude il parroco - continuiamo a cercare di fare del bene a tutti, ai nostri 450 rifugiati che vivono e a tantissime famiglie. L’ultimo periodo, grazie sempre al patriarcato latino di Gerusalemme, la nostra diocesi, insieme agli altri religiosi abbiamo aiutato migliaia di famiglie, centinaia di bambini malnutriti con le loro famiglie, però veramente il lavoro è immenso, ingente. Continuiamo a pregare, a diffondere la causa della pace e aiutare materialmente in tutto ciò che si può, perché veramente le persone a questo punto sono disperate poiché hanno perso assolutamente tutto. Speriamo che questo accordo porti dei buoni frutti per tutta la Terra Santa, per tutto Medio Oriente e per tutto il mondo».