Partorire a Gaza, in una tenda e tra continue esplosioni

A pochi giorni dall'inizio della guerra in Ucraina, aveva fatto il giro del mondo la fotografia di una donna incinta che, trasportata su una barella, veniva trasportata, d'urgenza, in un altro ospedale. Quello dove si trovava, a Mariupol, era stato attaccato. La donna, infatti, si teneva con le mani il grembo insanguinato. Nonostante il rapido intervento, però, i medici non riuscirono a salvare né la madre né il bimbo.
Un semplice scatto, all'epoca, aveva acceso i riflettori sulle condizioni delle donne incinte in un contesto di guerra. Contesto in cui ora si trovano a vivere migliaia di donne a Gaza. In condizioni sempre più preoccupanti.
A spostare l'attenzione sulla situazione delle donne in dolce attesa nella Striscia di Gaza è stato il Guardian che, in un lungo reportage, ne rivela le difficoltà. Come dichiara Diana, una giovane di 22 anni che ha da poco dato alla luce suo figlio, la maggior parte delle donne trascorre l'intera gravidanza temendo per la propria sicurezza e per quella del bambino. Non a caso, secondo un rapporto pubblicato dalla London School of Hygiene & Tropical Medicine e del Johns Hopkins Center for Humanitarian Health, le morti materne sono tre volte più probabili rispetto a prima della guerra. Di più, dei 36 ospedali di Gaza, solo 13 sono parzialmente funzionanti, e solo tre di questi possono ospitare le circa 180 donne che partoriscono quotidianamente. Motivo per cui, la maggior parte di queste, è costretta a dare alla luce il proprio bambino nelle tende. «Non abbiamo vissuto in queste condizioni per uno o due giorni, ma per nove mesi. Nove mesi interi, in cui, giorno dopo giorno, ci siamo sentite morire un milione di volte, a causa dei bombardamenti e della distruzione», confessa Diana.
I dati, dopotutto, parlano chiaro. Stando alle stime dell'ONU, il prossimo mese, a Gaza, partoriranno circa 13.000 donne. Ma a spaventarle non è solo l'assenza di sicurezza del contesto in cui vivono. Anche i continui spostamenti, così come la ricerca di cibo e medicine, aggravano ulteriormente la situazione. Sempre secondo l'ONU, infatti, il 95% delle donne che vivono nella Striscia non ha abbastanza da mangiare.
La situazione negli ospedali, chiaramente, non è da meno. «In ogni momento, un posto o una casa nelle vicinanze viene presa di mira. Dunque per le strutture sanitarie è difficile prendersi cura delle donne incinte. L'attenzione è tutta sui feriti», spiega la 22.enne. La giovane aveva scoperto di essere in attesa una settimana dopo lo scoppio della guerra. Per riuscire a dare alla luce suo figlio, Diana aveva trascorso una notte a tremare di paura, mentre la sua casa tremava sotto i colpi delle esplosioni. Scappata da lì, per raggiungere l'ospedale aveva dovuto percorrere una lunga strada affollata. Dieci giorni dopo il parto, la giovane si era ritrovata nuovamente a cercare assistenza medica, perché la pelle del suo bambino era diventata, improvvisamente blu, e il suo cuore si era fermato brevemente, per «un problema di circolazione». Le paure di ogni madre, rese ancor più terribile dal contesto della guerra che non permette di agire tempestivamente. Come quelle provate da Yasmeen, una donna che si è vista costretta a dare alla luce tre gemelli prematuri in una tenda. Due mesi prima della data prevista per il parto.
In mezzo agli orrori della guerra, stando a quanto emerge dai dati di Save the Children, dall'inizio del conflitto a Gaza sono nati 50.000 bambini. Molte donne, temendo i ripetuti spostamenti, sono arrivate a indursi il parto, per timore di trovarsi in travaglio nel momento meno opportuno. Non solo. Oltre ai problemi nel trovare una struttura sanitaria attrezzata, le donne partoriscono senza alcun tipo di antidolorifico, senza sapere, fino all'ultimo, se questo avverrà in un ospedale oppure in una tenda. E senza sapere se riusciranno davvero ad abbracciare il loro bambino.