Turchia

Per Erdogan la strada è in salita: il ballottaggio si fa più vicino

Spoglio al cardiopalma: il presidente uscente è sotto il 50% dei consensi mentre lo sfidante Kilicdaroglu riduce le distanze — Le operazioni di scrutinio si sono svolte all'insegna della polemica e c'è chi è pronto a contestare i risultati del voto
©TOLGA BOZOGLU
Marta Ottaviani
14.05.2023 23:50

Per una volta tanto, non si può dire «Turchia, buona la prima». Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, sarà costretto a sfidare il suo concorrente, Kemal Kilicdaroglu, al secondo turno, previsto per il prossimo 28 maggio, in un clima arroventato e dove, mai come in questa occasione, andranno al voto due Turchie, una contrapposta all’altra. La serata si è aperta con il capo di Stato uscente al 59%. Ma chi conosce il Paese sa bene che le prime schede aperte sono quelle nel Sud-Est del Paese, dove tradizionalmente il consenso del Reis, come lo chiamano nel suo partito, è predominante.

Lo scarto sempre più ridotto

Con il passare delle ore, il consenso si è assottigliato, con uno spoglio davvero al cardiopalma e che ha diviso il Paese fra chi era già pronto a festeggiare e chi ha urlato dalla gioia per aver avuto un’altra chance. Erdogan, al 92% delle schede aperte, ha conquistato il 49,76% dei consensi, mentre Kilicdaroglu ha sorpassato il 44%. Un ottimo risultato per il «Gandhi della politica turca», che può contare sull’appoggio di una coalizione da sei partiti, dove ognuno la pensa in modo diverso, e sui curdi.

In Parlamento, la Coalizione della Repubblica, formata dal partito di Erdogan, i nazionalisti e gli islamo-nazionalisti, al momento ha 325 seggi su 600. Una maggioranza che però non permette cambiamenti costituzionali. Dall’altra parte, la coalizione della Nazione dovrebbe portare a casa 214 parlamentari. I curdi sono fermi a 61 parlamentari: pochi, rispetto alle previsioni del partito, ma che sono preziosi per le votazioni più cruciali, in un Parlamento che, però, è stato fortemente ridimensionato dopo il passaggio al sistema presidenziale nel 2017.

Botta e risposta sulle cifre

Fin qui la cronaca della serata. Che purtroppo coincide con una serie di notizie non esattamente positive. La prima è che se oggi le operazioni di voto si sono svolte in tutta tranquillità, quelle di scrutinio sono state all’insegna della polemica, con un botta e risposta fra l’AKP, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo del presidente Erdogan e il CHP, il Partito repubblicano del suo concorrente, Kemal Kilicdaroglu, che la dicono molto lunga sul clima che caratterizzerà il Paese nelle prossime settimane.

Lo spoglio era iniziato da poco più di due ore, che già i sindaci di Istanbul e Ankara, Ekrem Imamoglu e Mansur Yavas, hanno attaccato i risultati diffusi dall’Anadolu Haber Ajans, l’agenzia di Stato, da anni sotto il controllo di Erdogan e che il primo cittadino dell’antica Costantinopoli, per rendere bene l’idea, ha definito «in stato vegetativo». Mansur Yavas ha rincarato la dose, spiegando che il CHP avrebbe seguito con attenzione il risultato delle urne, lasciando anche capire di essere pronto a contestare il risultato del voto. L’AKP, forse un po’ troppo convinto di avere la vittoria in tasca, ha replicato chiedendo di mantenere la calma e che avrebbe dichiarato la vittoria solo dopo la pubblicazione dei dati da parte dello YSK, l’Alto Consiglio Elettorale. A irritare l’opposizione, deve essere stato il fervore della piazza di Erdogan, che già dalle prime ore della serata di oggi, si è radunata davanti alla sede dell’AKP, per la precisione sotto quel balcone da cui il Reis ha tenuto tutti i discorsi dopo le due vittorie elettorali per oltre 20 anni. Il risultato era dato talmente per scontato che ai giornalisti accreditati era stato inviato il link per poter seguire lo speech dall’area destinata alla stampa. Niente discorso della vittoria, invece. Il presidente Erdogan era ancora a Istanbul dove, però, non ha rinunciato a un piccolo colpo di scena, andando direttamente in mezzo alle migliaia di persone che si sono radunate, anche se il consenso diventava sempre più risicato, fino a condannare la Turchia al ballottaggio.

Di nuovo in campagna

Lo spoglio non si era ancora concluso che già la Turchia era di nuovo in campagna elettorale. Da una parte la piazza di Kilicdaroglu, con giovani che formano cuori con le mani e che parlano di democrazia e di maggiori diritti per tutti. Dall’altra quella del Sultano, che, per usare un eufemismo, è molto più assertiva e animata dallo slogan ‘»tek millet, tek bayrak, tek devlet», un solo popolo, una sola bandiera, un solo Stato. Il riferimento, nemmeno troppo velato, è contro i curdi e di riflesso Kilicdaroglu, accusato di aver stretto un patto non tanto con la minoranza, ma proprio con il PKK, il Partito dei lavoratori del Kurdistan. Motivo per cui, Erdogan, per tutta la prima campagna elettorale, gli ha dato di quello che faceva patti con i terroristi, oltre che dell’ubriacone.

La parola d’ordine è prudenza, ma con buona pace di chi, come l’opposizione, dice che andrà tutto bene, le prossime due settimane saranno delicate. Le provocazioni nei giorni scorsi non sono mancate. Tutte, sistematicamente, contro la minoranza e senza che la polizia intervenisse. Erdogan ha ancora il controllo sulla polizia e i servizi segreti. Il punto è che anche qui il suo strapotere viene vissuto con sempre più insofferenza, oltre che nella burocrazia. Secondo fonti di Ankara, proprio questo potrebbe essere il game changer: l’equilibrio che si spezza dall’interno. E, in questo caso, per Erdogan sarebbero guai seri. Il Reis, però, ha ancora un asso nella manica: il suo popolo. E questa non è per niente una bella notizia, perché la sua piazza da assertiva, rischia di diventare violenta e prevaricatrice. Gli occhi sono puntati sulla giornata di oggi, soprattutto sui mercati e sul cambio della valuta nazionale, che potrebbe sperimentare l’ennesimo tonfo a causa della situazione politica.

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