Perché Beryl potrebbe essere solo il primo di una serie di uragani devastanti
Vallemaggia, Mesolcina, Vallese. Ma non solo. Il maltempo non sta dando tregua neppure al resto del mondo. Ne è un esempio l'uragano Beryl, che da giorni sta seminando morte e distruzione nelle isole caraibiche. Tra queste, in particolare, Grenada e Carricou, ma anche la Giamaica. Nelle prossime ore, Beryl attraverserà la penisola messicana dello Yucatán, approdando nel Golfo del Messico entro fine settimana. La particolarità di questo uragano è quella di essere un fenomeno «da record». Beryl, infatti, ha raggiunto le categorie 4 e 5 (la più devastante) di intensità all'inizio della stagione degli uragani, in un punto molto a est nell'Atlantico tropicale. Un primato finora appartenente a Dennis e Emily, uragani risalenti a luglio 2005.
La forza di Beryl e tutte le sue caratteristiche, insomma, non stanno passando inosservate. Anzi, secondo alcuni esperti ci sarebbero i presupposti per pensare che questo uragano sia solo il primo di una serie di ulteriori fenomeni devastanti che potrebbero abbattersi nel corso della stagione. Ma è davvero così? Ne abbiamo parlato con Luca Nisi di MeteoSvizzera.
Venti fortissimi
Partiamo dalle basi, descrivendo gli uragani. «Si tratta di un fenomeno meteorologico della nostra atmosfera terrestre, che si forma nelle zone tropicali del pianeta sotto forma di una violenta tempesta. La loro stagione parte a giugno e termina verso fine settembre», ci spiega l'esperto, confermando che al momento ci troviamo praticamente ancora nelle fasi iniziali della stagione. Ed è proprio questo il motivo per cui Beryl è finito sotto i riflettori. «Sicuramente, ciò che ha fatto scalpore è che uno dei primi uragani del 2024 sia di categoria cinque: si tratta del livello più alto della scala di intensità Saffir-Simpson e corrisponde a uno dei fenomeni atmosferici più violenti su larga scala». La categoria si riferisce principalmente ai danni che l'uragano può arrecare al territorio: un aspetto strettamente collegato alla velocità dei venti, che quando sono più intensi comportano danni più importanti sul territorio.
Già, i venti. Quelli di Beryl, in particolare, hanno raggiunto una velocità media incredibile. «Questo uragano ha dei venti che hanno toccato una velocità compresa tra i 250 e i 280 chilometri orari. Ma per noi, alle nostre latitudini, è difficile comprenderne realmente la violenza. Non dobbiamo pensare alle raffiche che, singolarmente, capita tocchino i 200 chilometri orari anche sulle nostre montagne in inverno, in zone molto esposte, durante per esempio il passaggio di un fronte freddo o durante una fase sciroccale. In questo caso, quando si parla di venti compresi tra i 250 e i 280 chilometri orari, intendiamo una velocità media. Dunque, una corrente continua, violentissima, che chiaramente contribuisce a causare una devastazione completa del paesaggio. Di fronte a raffiche di questa intensità, anche le case in muratura fanno fatica a restare in piedi».
Dalle tempeste tropicali agli uragani
Facciamo però un passo indietro, e torniamo a parlare degli uragani come fenomeno. «La loro formazione, soprattutto nei Caraibi, è da ricercare nella formazione di tempeste tropicali. Tutto parte nell'Oceano Atlantico, a ovest delle coste africane. Da quelle parti, le temperature superficiali dell'acqua sono particolarmente elevate e sempre di più a causa del riscaldamento globale», sottolinea Luca Nisi. «Con temperature superficiali dell'acqua superiori ai 27 gradi si ha una forte evaporazione, che può creare i presupposti per la formazione di temporali violenti su questa parte dell'oceano». Ma si tratta solo del primo passaggio. «Questi temporali, se sono più di uno, si "organizzano tra loro", e cominciano a ruotare». In questi casi, chiarisce il meteorologo, si parla di depressione tropicale.
«A seguire, questa depressione, grazie all'energia che prende dalla superficie calda dell'Atlantico, inizia a ruotare più velocemente e a intensificarsi. È a questo punto che parliamo di tempeste tropicali. L'ultimo passaggio porta alla formazione di un vero e proprio uragano, la cui intensità, come detto, è rappresentata in una scala che va da uno a cinque. A differenza delle zone di bassa pressione alle nostre latitudini, le isole tropicali prendono energia dalla superficie calda del mare». In questi casi, si registra un vero e proprio «cuore caldo» che, come spiega Luca Nisi, costituisce il motore, l'energia, del fenomeno. Con il rilascio del calore latente dovuto alla condensazione di importanti quantitativi di vapore acqueo la tempesta acquista l’energia sufficiente per diventare uragano. Uragano che, di per sé, «è formato da bande temporalesche, disposte a spirale, con l'occhio del ciclone spesso privo di nubi». Fenomeno che tutti, almeno una volta, abbiamo visto in televisione o online, grazie alle immagini satellitari. «Queste bande temporalesche a spirale, in realtà, sono violentissime. Ed è proprio durante il loro passaggio che si registra il momento di venti più intensi, che poi portano a precipitazioni copiose e, in alcuni casi, anche a dei tornado all'interno dell'uragano». L'esperto non ha dubbi: su larga scala, si tratta del fenomeno più violento conosciuto a livello meteorologico.
Un po' come i temporali
Arriviamo, dunque, a parlare della particolarità di Beryl. Ossia, quella di essere un uragano «da record». «Il fatto che ci siano state, anche negli anni recenti, stagioni dove, per diversi fattori, si è registrato un numero di uragani piuttosto sotto norma, o fenomeni molto forti solo verso la fine della stagione – fra agosto e settembre –, ci suggerisce di prendere in considerazione anche quanto sta accadendo quest'anno. È chiaro che avendo osservato la formazione di un uragano che ha raggiunto la categoria 5 a inizio stagione, ci si aspetti condizioni molto favorevoli per la formazione di ulteriori uragani devastanti». A contribuire, come detto, sono le temperature marine particolarmente elevate anche nell'Atlantico tropicale. «È un segno da considerare: è un po' come la previsione dei temporali sulle nostre regioni. È molto difficile capire esattamente dove e quando si abbatteranno, ma se vediamo che le condizioni ci sono sappiamo che, a livello di previsione, da qualche parte un temporale si svilupperà. Ecco, questo accade in modo simile anche con gli uragani. E, appunto, il fatto di aver già osservato un fenomeno così violento, può facilmente far presupporre che le condizioni siano molto favorevoli. Per questo motivo, la NOAA si attende una stagione particolarmente attiva».
L'effetto El Niño
E non è tutto. Oltre alle elevate temperature dell'oceano, è opportuno menzionare anche gli effetti che El Niño – un fenomeno climatico che periodicamente porta a un riscaldamento della superficie dell'Oceano – ha nella formazione degli uragani. «La letteratura scientifica mostra in modo chiaro, con analisi statisticamente valide, che i forti effetti di El Niño causano una frequenza di uragani maggiore e anche un'intensità media più alta», spiega Luca Nisi. Dopo anni di La Niña – fenomeno climatico opposto,– il mondo è entrato in una fase di El Niño «al momento non molto pronunciato», spiega Nisi, ma che «potrebbe andare a stimolare ulteriormente l'attività di uragani nell'Atlantico quest'anno».
I prossimi step
Dopo essersi abbattuto sulla Giamaica, come anticipato, Beryl si sta dirigendo verso il Messico. Dove, con ogni probabilità, perderà intensità. «L'uragano, anche il più violento, prende energie dall'acqua calda di superficie atlantica. Ma come tocca zone di terraferma o isole un po' più estese, comincia a subire degli effetti di disturbo, indebolendosi rapidamente. Ma bisogna ricordare che, comunque, c'è una certa inerzia: non è come un pulsante che si spegne e si accende, piuttosto si indebolisce gradualmente. Può capitare che un uragano causi danni anche nell'entroterra».
Gli «uragani europei»
Per concludere, parliamo anche dei Medicanes. Ossia, gli «uragani mediterranei» che possono verificarsi nelle acque più vicine a noi. «Fino a pochi decenni fa, raggiungere temperature di 25-27 gradi sulla superficie del Mediterraneo era fantascienza», chiosa il nostro interlocutore. «La realtà, però, è che ora il Mediterraneo è estremamente caldo, l’anno scorso in alcuni punti si sono toccati e superati i 30 gradi. Se a livello di temperatura sulla terraferma, in Svizzera, parliamo di un aumento di 2.8 gradi rispetto al periodo preindustriale in alcuni punti del Mediterraneo la temperatura superficiale dell'acqua mostra al momento delle anomalie di 5-6 gradi». Un aumento responsabile, soprattutto verso il periodo autunnale, di quelli che i meteorologi chiamano Medicanes. «Spesso, questi fenomeni sono causati da un fronte freddo che riesce a raggiungere il Mediterraneo e, in modo simile a quanto dicevamo prima, innesca temporali violenti sul mare, tipicamente nella zona centro-orientale». Vale a dire, sul Mar Ionio e sul Mar Greco. «Questi temporali iniziano a ruotare e creano una zona di bassa pressione e, se questa dispone di ulteriore energia data con l'acqua calda dalla superficie dei mari, ecco che si formano i Medicanes, che non sono altro che dei piccoli uragani europei».
Come chiarisce l'esperto, questi fenomeni non hanno grandi dimensioni e non portano devastazione su larga scala come gli uragani atlantici. «Quando raggiungono la terraferma, soprattutto, si indeboliscono molto più rapidamente. Tuttavia, per la navigazione sul Mediterraneo sono considerati delle tempeste estremamente pericolose, poiché accompagnate da venti fortissimi e da un moto ondoso particolarmente pronunciato». Senza dimenticare le coste, dove anche a causa delle precipitazioni torrenziali che un medicane comporta, talvolta possono registrarsi danni notevoli.