Il caso

Perché l'Uzbekistan, ora, ha bisogno del gas russo?

Nonostante vanti una produzione interna notevole, Tashkent ha appena firmato un'intesa con Gazprom: ecco come mai
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Marcello Pelizzari
27.01.2023 11:00

Sì, il gas russo interessa ancora. Non all’Occidente, va da sé. Ma a un’ex repubblica sovietica, l’Uzbekistan. Tashkent, nello specifico, ha appena annunciato di essere (quasi) pronto a importare il citato gas da Mosca grazie a un accordo con Gazprom.

«Abbiamo in programma di iniziare le consegne di gas dalla Russia all’Uzbekistan dal 1. marzo», ha spiegato un portavoce del Ministero dell’Energia senza tuttavia specificare il volume delle consegne. Dal canto suo, il colosso statale del gas – Uztransgaz – ha affermato che l’Uzbekistan non ha mai importato gas dalla Russia. Si tratta, insomma, di una prima storica per il Paese dell’Asia Centrale, famoso per essere ricco, anzi ricchissimo di materie prime.

In questi giorni, la stessa Gazprom e l’Uzbekistan hanno firmato un’intesa sulle «misure tecniche necessarie per il transito del gas attraverso il gasdotto asiatico che attraversa il Kazakistan e l’Uzbekistan».

Gazprom, d’altronde, è alla ricerca di nuovi sbocchi dopo aver perso il suo cliente maggiore: l’Europa. Di qui, l’idea avanzata dal Cremlino di istituire una sorta di «unione del gas» con Kazakistan e, appunto, Uzbekistan. Un’idea mai veramente messa in piedi, complici – mesi fa – le reticenze delle due ex repubbliche sovietiche. L’Occidente, va da sé, ha reagito puntando il dito contro Tashkent e accusando, nemmeno troppo velatamente, gli uzbeki di aver cambiato idea e di essersi schierati politicamente con Mosca. L’Uzkebistan, per contro, ha chiarito che l’accordo per il gas non mina la sovranità nazionale.

E il gas uzbeko?

La domanda, arrivati fin qui, è la seguente: perché mai l’Uzbekistan dovrebbe servirsi del gas russo quando è considerato fra i maggiori produttori mondiali? L’ex repubblica sovietica, 35 milioni di abitanti, nel 2022 ha prodotto 51,7 miliardi di metri cubi (la Russia, a titolo di paragone, annualmente ne produce fra i 600 e i 700 miliardi). Risposta: il Paese sta attraversando una grave crisi energetica, complice la crescita della domanda. Crescita a sua volta dovuta dalle temperature rigide di questo inverno (fino a -30) e, se vogliamo, peggiorata dalle infrastrutture che definire vecchie è poco.

Abdulla Aripov, primo ministro uzbeko, al riguardo ha detto che «circa il 42% di tutte le reti energetiche, compreso il 39% delle linee ad alta tensione, il 51% delle sottostazioni e il 35% dei trasformatori, ha più di 40 anni». Tradotto: l’intero sistema venne progettato e costruito durante l’Unione Sovietica. Con tutte le problematiche del caso, considerando che l’URSS si dissolse nel 1991.

Corruzione e saccheggi

L’Uzbekistan, costretto a interrompere le sue esportazioni di gas a dicembre, si è rivolto innanzitutto al vicino Turkmenistan per compensare le interruzioni di elettricità. Il presidente, Shavkat Mirzioyev, in risposta alla crisi ha usato il classico pugno duro. Una sorta di standard a certe latitudini. E così, sono saltate un sacco di teste: destituiti il sindaco della capitale, il viceministro dell’Energia, il capo delle centrali termiche, altri politici, mentre diversi direttori di società energetiche si trovano in un regime di libertà vigilata. Il presidente, leggiamo, li ha tutti accusati di non aver affrontato la corruzione che vige all’interno del settore. Corruzione e saccheggio, se è vero che il 20% del consumo annuo di gas del Paese non è stato consegnato ai consumatori come da programma.

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