Perché si torna a parlare di compresse allo iodio

Vladimir Putin ricorrerà all’uso di armi nucleari? La domanda delle domande, da alcune settimane, tormenta l’Ucraina e, di riflesso, l’Occidente. L’Europa, di fronte a un possibile Armageddon, prova a ragionare, a mettere assieme le idee, a fornire risposte. Intanto, però, i cittadini hanno paura. Dell’eventuale esposizione alle radiazioni, evidentemente, a maggior ragione pensando alle continue interruzioni di corrente presso la centrale nucleare di Zaporizhzhia, con annesso rischio di una fusione. Più o meno ovunque, non a caso, la gente è tornata a interessarsi con forza alle compresse di iodio. Alcuni Paesi europei, ad esempio, hanno iniziato a fare scorte di pastiglie. In Finlandia, nazione che condivide oltre 1.300 chilometri di confine con la Russia, il prodotto comincia a scarseggiare nelle farmacie. Il motivo? Il ministero della Salute aveva raccomandato alle famiglie di acquistare singole dosi in caso di emergenza.
Detto questo, è interessante chinarci sull’argomento. E rispondere ad altre domande: che cosa sono, nello specifico, le compresse di iodio? E ancora: a che cosa servono in caso di fuga o attacco nucleare? Quanto ci proteggerebbero?
Perché può proteggerci?
Lo ioduro di potassio, o KI, offre sì una protezione specifica. Ma contro un tipo di esposizione. Concretamente, impedisce alla tiroide – una ghiandola del collo che produce ormoni – di raccogliere lo iodio radioattivo, che può trovarsi nell’atmosfera qualora si verificasse un incidente nucleare. Questo materiale radioattivo può aumentare il rischio di contrarre un cancro alla tiroide se entra nell’organismo, tramite respirazione o ingerendo cibi contaminati. A detta dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’esposizione alle radiazioni è particolarmente pericolosa per i bambini. I rischi per la salute possono durare anche anni dopo l’esposizione.
Le compresse di iodio, tornando a noi, riempiono la tiroide con una versione stabile dello iodio. Questo per impedire allo iodio radioattivo di «entrare». Già, perché se la tiroide è già riempita di ioduro di potassio non sarà più in grado di raccogliere lo iodio nocivo in circolo dopo un incidente nucleare.
Il farmaco è relativamente economico ed è venduto in tutto il mondo. Molti Paesi, come detto, ne fanno regolarmente scorta. «Dall’inizio dell’attacco militare russo contro l’Ucraina vi sono preoccupazioni dovute all’eventualità di una fuoriuscita di radioattività» afferma a tal proposito l’Ufficio federale della sanità pubblica. «Tali preoccupazioni sono destate da un lato dai combattimenti scoppiati nella zona di esclusione di Chernobyl. Dall’altro, l’Ucraina gestisce 15 reattori nucleari in quattro sedi diverse nonché laboratori di ricerca che lavorano con sorgenti radioattive. Questi luoghi possono rappresentare un rischio aumentato in caso di guerra. Inoltre vi è il timore di un possibile impiego di armi nucleari. Le autorità svizzere osservano la situazione. In caso di evento nucleare all’estero con ripercussioni sulla Svizzera la Centrale nazionale d’allarme informa la popolazione su come comportarsi».
Perché non sarebbe abbastanza?
Lo ioduro di potassio, detto questo, non protegge da altri tipi di minacce radioattive. Una bomba sganciata dalla Russia, ad esempio, rilascerebbe diversi tipi di radiazioni e materiale radioattivo. Che possono danneggiare diverse parti del corpo. Ancora l’Ufficio federale della sanità pubblica: «Le compresse allo iodio non proteggono da tutti gli elementi radioattivi, ma soltanto dagli effetti dannosi dello iodio radioattivo sulla tiroide. Altri elementi radioattivi richiedono ulteriori misure di protezione, come per esempio recarsi in un luogo protetto (casa, cantina o rifugio) per difendersi dalla radiazione diretta della nube radioattiva». Se e quando in Svizzera si debbano assumere compresse allo iodio dopo un evento nucleare all’estero «dipende da fattori come tipologia, località ed entità dell’evento e dal fatto che i venti abbiano favorito o meno il trasporto di radioattività in Svizzera». Il ricordo, manco a dirlo, va al 1986 e a quanto successe dopo il disastro Chernobyl.
Le autorità dei vari Paesi, Svizzera compresa, invitano in ogni caso a non assumere compresse a titolo preventivo. «Le compresse sono efficaci soltanto se assunte al momento giusto» chiosa l’UFSP. «Se vengono assunte troppo presto, la protezione della tiroide al momento del passaggio della nube radioattiva potrebbe non essere più efficace o esserlo solo in parte».
Le parole di Garattini
«Le pillole di iodio, come ormai diciamo da tempo, non servono a nulla contro le radiazioni nucleari legate al rischio dell’utilizzo della bomba atomica» ha dichiarato, negli scorsi giorni, ad Adnkronos Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri IRCSS. Ribadendo che, appunto, in simili casi nell’atmosfera si troverebbero anche cesio, polonio e altre sostanze tossiche. «E non ci sono altri farmaci utili. L’unica soluzione è evitare una catastrofe nucleare da cui non può proteggerci nulla. Possiamo solo insistere perché la politica e le organizzazioni internazionali trovino i mezzi per fermare l'escalation. E anche le persone devono farsi sentire. Per il resto che dire: che Dio ci aiuti».