Scenari

Più ChatGPT e meno lavoro

Non passa giorno senza che i media facciano uscire uno scenario terribile per chi era convinto di arrivare alla pensione vivacchiando: ma le cose stanno davvero così?
Immagine creata con MidJourney.
Stefano Olivari
07.04.2023 06:00

Licenziati da ChatGPT: varrà per chi ha un lavoro ripetitivo, come è ovvio, ma anche per chi ne ha uno creativo e pensa che le sue competenze lo mettano al riparo dalla tecnologia. Non passa giorno senza che i media facciano uscire uno scenario terribile per chi era convinto di arrivare alla pensione vivacchiando: ma le cose stanno davvero così?

Avvocato addio

Uno studio di Goldman Sachs ha dato un valore percentuale a queste paure, elencando i lavori a rischio per colpa (o merito, se si è azionisti di quelle aziende) dell’automazione indotta dall’intelligenza artificiale, ormai familiarmente AI. Sono a rischio il 46% degli occupati nel settore amministrativo e il 35% di chi lavora nella finanza, come già è intuibile dalla scomparsa di uffici e filiali: il tutto da sommare alla disoccupazione indotta dal ciclo economico o da disastri tipo il Credit Suisse. A sorprendere è che ad alto rischio siano anche professioni che nell’immaginario collettive sono molto legate alla bravura o alla scarsezza del singolo: il 44% di chi lavora in ambito legale, quindi non soltanto gli avvocati, chiuderà la sua vita lavorativa altrove, così come il 37% di architetti e ingegneri ed il 29 di informatici e matematici: insomma, la storia del ‘valore aggiunto’ per rendere unico il proprio lavoro non è proprio vera, anche senza fare il solito esempio del giornalismo. Certo non è che in aula davanti a un giudice ci possa andare un computer o un robot (non si può dire, in ogni caso), ma il lavoro legale è fatto in gran parte anche di ricerca ed elaborazione di documenti: ChatGPT potrà essere stupido, come si sente dire con toni neo-luddisti, ma per trovare sentenze adatte al caso vale più di un esercito di avvocati e stagisti.

Disruptive

La cosa curiosa è che OpenAI, cioè la casa madre di ChatGPT, non fa nulla per nascondere questa situazione ed anzi finanzia studi che dimostrano il suo potenziale ‘disruptive’. Aggettivo che scalda il cuore a qualche grande investitore e a qualche nerd che sogna di essere CEO and founder di un unicorno, ma che nella realtà concreta significa, nella migliore delle ipotesi, che decine di milioni di appartenenti alla classe media del fu Occidente dovranno reinventarsi. Passi per chi scrive articoli di cronaca su eventi di dominio pubblico, ma l’AI generativa andrà a cambiare le regole del gioco anche nel mondo delle traduzioni (già di fatto è così, si pensi a prodotti come l’impressionante DeepL), della scrittura creativa e anche della programmazione: fra poco non sarà più necessario conoscere un codice per creare un videogioco, basterà avere un’idea e saperla spiegare bene a ChatGPT o a suoi concorrenti, come ChatSonic (migliore di ChatGPT nella gestione di contenuti recenti), Chinchilla, YouChat, Akkio, oltre ovviamente al Bard con cui Google sta cercando di rimanere giovane e soprattutto di sbarrare la strada ad OpenAI, cioè a Microsoft.

Big Tech

Fra chi teme l’AI non ci sono soltanto i lavoratori, ma anche le aziende che li licenzieranno. Perché Microsoft e forse Google sono ben posizionati, ma Apple, Amazon, Facebook e Twitter ad esempio no. Ed in ogni caso le logiche dell’AI sono tali che in nessun caso daranno vita a realtà con decine di migliaia di dipendenti, anzi. Senza contare il fatto che l’AI non ha ancora un vero modello di business, al di là dell’offrire una parte premium per un’utenza professionale: per sua natura non può essere difesa né resa unica. Insomma, si stanno distruggendo le vecchie regole ma senza volerne imporre di nuove: alla fine il grande progetto di Microsoft dietro ad OpenAI è quello di un’integrazione totale con Bing, il suo motore di ricerca, in modo che possa dare fastidio al quasi monopolista Google. È anche per questa vaghezza sugli scenari futuri che la politica un po’ ovunque sta cercando di imbrigliare la tecnologia: in questo senso il recente stop a ChatGPT imposto dal Garante della Privacy italiano, spiegandolo con il trattamento dei dati e la reputazione delle persone, più che dare fastidio a Microsoft spiega l’impotenza di qualsiasi sistema politico non autoritario nel governare questo fenomeno.

Autisti

Uscendo dai discorsi sui massimi sistemi, le persone con la flessibilità mentale per riconvertirsi si chiedono cosa fare quando il loro lavoro di avvocati, giornalisti, contabili, bancari, eccetera scomparirà. Un suggerimento arriva dallo studio della Pennsylvania University, finanziato proprio da OpenAI e citatissimo in questi giorni dai media di tutto il mondo. E non si va in direzione del luogo comune, cioè dai lavori puramente manuali: un robot umanoide che raccolga i pomodori nei campi, trasporti le valigie nelle stazioni o faccia il guardiano in un garage è prevedibile, anche auspicabile. Anche i lavori manuali in senso stretto sono destinati ad essere spazzati via. Al sicuro, secondo la stessa azienda che possiede ChatGPT, in cui la manualità deve essere associata non al linguaggio ma alla competenza, magari anche soltanto esperienza: quindi parrucchieri, muratori, meccanici, cuochi, eccetera. Un buon futuro anche per gli autisti, visto il sempre minore numero di giovani con patente ed il gelo che c’è intorno a qualsiasi progetto di auto a guida autonoms. Di sicuro con vari gradi di intensità circa l’80% di chi sta leggendo (e scrivendo…) questo articolo avrà il proprio lavoro influenzato in una qualche misura da ChatGPT e dai suoi concorrenti. Insomma, non l’ennesima moda tech ma un meccanismo che porterà a ripensare il lavoro, il tempo libero ed il mondo. Anche i media, che hanno sostituito ‘Sono diventata milionaria aprendo un profilo su OnlyFans’ con ‘Ho perso il lavoro per colpa di ChatGPT’. Fra l’altro i due scenari non sono in contraddizione.

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