Prove tecniche di occupazione, l'IDF in azione intorno a Gaza

Ieri i soldati israeliani della 99. Divisione hanno iniziato a operare nell’area di Zeitun, situata alla periferia di Gaza City, per la prima volta da quando sono state annunciate le nuove operazioni per occupare la città. Potrebbe essere, questo, l’effettivo inizio dell’occupazione. Anche l’aeronautica dell’IDF sta operando nella zona in coordinamento con le truppe sul campo, colpendo diversi obiettivi, mentre gli attacchi israeliani sulle località di Deir al Balah e Khan Yunis si sono intensificati negli ultimi due giorni.
Secondo il portavoce dell’ONU Stéphane Dujarric i bombardamenti aerei e i tiri d’artiglieria dell’IDF colpiscono soprattutto edifici residenziali e tende che ospitano gli sfollati, provocando un sempre maggior numero di vittime. Con l’operazione di terra pronta ad andare avanti la situazione potrebbe ancora peggiorare. Ormai l’86% della Striscia è militarizzato o soggetto a ordini di evacuazione e le organizzazioni umanitarie non dispongono dell’accesso e delle forniture necessarie per affrontare la grave situazione umanitaria. Sempre secondo l’ONU da maggio almeno 1.760 palestinesi sono stati uccisi mentre erano alla ricerca di aiuti. Di questi 994 sono morti nelle vicinanze dei siti della Gaza Humanitarian Foundation.
Tutto mentre il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, falco della destra israeliana, ha annunciato l’approvazione di un piano di insediamento per 3.401 nuove unità abitative nella regione E1 della Cisgiordania. «Un progetto che seppellirà l’idea di uno Stato palestinese» come lo ha definito uno dei ministri più estremisti del governo Netanyahu.
Questa proposta di un nuovo maxi insediamento ha scatenato le proteste ufficiali di molti Paesi arabi come la Giordania, il Qatar, l’Iraq e la Tunisia, mentre in Europa la prima voce ad alzarsi è stata quella della Germania. Si è poi aggiunta la Svizzera: in una nota del DFAE pubblicata ieri su X si legge che «La Svizzera respinge l’annunciata costruzione di migliaia di unità abitative nella Cisgiordania palestinese occupata da Israele, nella fattispecie gli insediamenti a est di Gerusalemme pianificati dal Governo Netanyahu. Questi progetti violano il diritto internazionale, mettono a rischio la soluzione dei due Stati e alimentano le tensioni».
Progetti e smentite
Ma se la Cisgiordania appare come il prossimo e imminente obiettivo di Tel Aviv, il futuro della popolazione di Gaza è il tema che resta drammaticamente sul tavolo. Una nuova idea di «trasferimento» - come lo definisce Netanyahu - di oltre un milione di gazawi vede il continente africano tornare protagonista.
Tornare perché l’idea non è così nuova e nel corso dell’ultimo anno erano rimbalzate idee e proposte che vedevano la Repubblica Democratica del Congo, l’Uganda, la Libia, la Somalia ed il Somaliland come possibili mete finali di quella che appare come una vera e propria deportazione.
Il Sud Sudan, lo Stato più giovane d’Africa con l’indipendenza ottenuta solo nel 2010, sembra ora essere la nuova meta scelta dal governo israeliano per gli abitanti di Gaza. Tecnicamente fallito e dilaniato da profondi conflitti tribali, il Sud Sudan ospita già quasi un milione di rifugiati - provenienti da Sudan, Etiopia e Repubblica Democratica del Congo - e ha dovuto far fronte alla carenza di risorse e agli sfollamenti interni causati dai numerosi scontri che negli anni hanno provocato più di 400 mila morti. Ma quella che è iniziata come un’idea che circolava silenziosamente negli ambienti diplomatici e politici ora sembra progredire, come hanno confermato ben sei fonti diplomatiche all’Associated Press.
Monday Semaya K. Kumba è il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale della Repubblica del Sud Sudan e ha voluto chiarire la posizione del suo Governo. «Ho appena avuto un incontro proficuo e costruttivo con il viceministro degli Esteri israeliano Sharren Haskel - racconta al Corriere del Ticino -, ma nego che l’argomento del nostro incontro sia stato il reinsediamento dei palestinesi. Si tratta di voci infondate che non riflettono la posizione ufficiale o la politica del governo della Repubblica del Sud Sudan. Siamo grati ad Israele per questa visita che definisco storica e che è stata preceduta da un mio viaggio a Tel Aviv. Il nostro obiettivo è rafforzare i legami fra le due nazioni a livello economico e politico, ma anche di intelligence. Il viceministro israeliano ha incontrato anche il presidente Salva Kir per firmare una serie di accordi a livello sanitario ed agricolo, dove Israele vanta una tradizione d’eccellenza. Abbiamo fatto tutto alla luce del sole e queste voci che sarebbero arrivate da sedicenti diplomatici sudsudanesi vogliono solo danneggiare il Paese e ho già deciso di aprire un’inchiesta interna per capire chi vuole destabilizzarci».
Una smentita ufficiale che non convince, soprattutto perché due funzionari egiziani hanno confermato al Corriere del Ticino di essere a conoscenza da mesi della volontà di Israele nei confronti del Sud Sudan e di aver attivamente esercitato pressioni su Juba affinché non accettasse i palestinesi. Una voce ulteriormente confermata da Joe Szlavik, un lobbista assunto dal Governo sudsudanese per rafforzare i rapporti con gli Stati Uniti. Szlavik ha dichiarato di essere al corrente di questi colloqui e che una delegazione israeliana dovrebbe visitare il Sud Sudan per valutare la fattibilità dell’istituzione di campi temporanei per i palestinesi e che Israele coprirà i costi di costruzione e gestione di questi campi. Il Sud Sudan ha bisogno di liquidità e di alleati, gli USA sono al corrente dei colloqui, ma non sono direttamente coinvolti, ha infine dichiarato Szlavik.
Insieme alle parole di questo spregiudicato uomo d’affari l’Associated Press ha ricordato che Netanyahu vuole portare avanti quelle che lui definisce «migrazioni volontarie» per un attacco definitivo alla Striscia. Da Tel Aviv non è arrivata nessuna smentita ufficiale di questi colloqui. Mentre il governo USA ha già deportato otto migranti proprio nel martoriato Sud Sudan.