Fast food

«Quel panino è troppo secco»: McDonald's cambierà il Big Mac

Il colosso americano ha rimesso mano alla ricetta originale per (ri)dare gusto, sapore e qualità al prodotto – Ma a cambiare saranno anche altri hamburger della catena
© Wikipedia/McDonald's
Marcello Pelizzari
05.12.2023 17:15

Prendiamo in prestito un vecchio slogan dell'azienda: «Nessuno può farlo meglio di McDonald's». La frase, evidentemente, era accompagnata da una foto. Un impiegato dell'azienda, sorridente e soddisfatto, mostrava sei Big Mac pronti per essere gustati. Eccolo, il principe degli hamburger. Il panino più famoso (e più venduto) della catena. Nato nel 1967 e, immediatamente, diventato un instant classic per dirla con gli americani. Un classico, già. Un classico che, tuttavia, negli anni ha subito non poche critiche. Spingendo, infine, il colosso ad ammettere che sì, il Big Mac è diventato problematico e urge trovare una soluzione. 

Ma andiamo con ordine: McDonald's, come rivelato nei giorni scorsi dal Wall Street Journal, si è reso conto che i suoi hamburger peccano di sapore. E così, la stessa catena di fast food ha annunciato che modificherà qualcosa, anche più di qualcosa, a livello di ricetta e produzione. Evidentemente, l'azienda ha ascoltato le (tante) impressioni dei clienti. Non sempre teneri nei confronti del prodotto. Soprattutto, ha compreso che velocizzare e modernizzare sempre più la preparazione dei panini, alla fine, ha portato a una perdita, netta, di sapore. Di qui la scelta di puntare, ora, altresì sulla qualità e non soltanto sulla velocità di esecuzione. Per il Big Mac e, allargando il campo, per altri hamburger offerti nel menù.

Tanti, come detto, i cambiamenti in cantiere. Innanzitutto, nei ristoranti – sulla griglia – verranno cotte solo sei polpette alla volta e non otto. Il motivo? Semplice: così facendo, si applicherà meno pressione sugli hamburger e la carne tratterrà un po' più di succhi. Avete presente quando addentate un Big Mac e, lì per lì, vi viene da dire che è secco? Voilà. In termini di sapore, invece, il Big Mac 2.0, se così vogliamo definirlo, avrà molta più salsa. Si parla di 14 grammi a panino invece degli attuali 9. E ancora: a proposito di secchezza, per i panini verrà usato un pan brioche più burroso, con un fondo più spesso per trattenere il calore e, di nuovo, con semi di sesamo sparsi in maniera più casuale allo scopo di dare al prodotto un aspetto più casalingo se non addirittura casereccio. Non finisce qui: il formaggio verrà tolto prima dal frigo, affinché si sciolga meglio durante la cottura. E poi, concludendo, ci saranno cambiamento al modo in cui vengono preparate le cipolle, alla lattuga, ai sottaceti e via discorrendo. Di tutto e di più, insomma.

Dunque? Funzionerà? C'è chi, subito, ha salutato la notizia al grido «era ora». Ma c'è anche chi, fondamentalmente, ha detto: bene i cambiamenti, ma finché non verrà fatto qualcosa alla polpetta di carne si tratterà soltanto di cosmesi. Semplice cosmesi. Sia quel che sia, la nuova versione del principe degli hamburger è stata ideata presso la sede centrale dell'azienda, a Chicago. L'uomo da ringraziare, o incolpare a seconda dei punti di vista, è Chad Schafer. Dopo aver testato la nuova versione in Australia, McDonald's adesso sta portando l'hamburger 2.0 nelle sue 13.460 sedi negli Stati Uniti, il principale mercato della catena. L'obiettivo è quello di rendere partecipi tutti i punti vendita del Paese entro l'inizio del 2024. Capitolo Europa, e Svizzera: nulla è stato ancora comunicato. 

L'azienda, come spiegato dall'amministratore delegato Chris Kempczinski in una telefonata agli investitori, lo scorso ottobre, crede fortemente in questo cambiamento o rinnovamento che dir si voglia. Una rivoluzione che riguarda e riguarderà il Big Mac ma anche, come detto, la maggior parte degli hamburger del menù. I test in Australia, a detta del dirigente, sono andati molto bene. Hanno consentito a McDonald's di raggiungere una quota di mercato mai toccata prima. «La percezione di un hamburger dal gusto eccellente continua a crescere» ha dichiarato Kempczinski.

McDonald's, ribadisce il Wall Street Journal, ha saputo resistere al boom di vendite generato dalla pandemia e, ora, vuole battere il ferro finché è caldo. Terminata la crisi sanitaria, l'azienda è cresciuta di più e meglio rispetto ai rivali. Le vendite negli Stati Uniti, nel 2022, sono aumentate del 10,3% rispetto al 2,2% registrato da Burger King e al 3,9% di Wendy's. L'anno scorso, il colosso ha guadagnato 6,2 miliardi di dollari. Il mercato statunitense degli hamburger, per la cronaca, genera circa 136 miliardi di dollari di vendite annuali. Roba da matti.

E i prezzi finali? Dovrebbero rimanere uguali, secondo le stime dell'azienda. Tradotto: niente boccone amaro. Una stima che, tuttavia, potrebbe cozzare con l'economia statunitense che minaccia di rallentare. 

Il Big Mac, sembra strano dirlo, è anche un indicatore economico. Proprio così: il Big Mac Index è un indice dei prezzi pubblicato dall'Economist dal 1986 per misurare la parità di potere d’acquisto (PPA) tra due valute. Confronta il prezzo relativo di un hamburger Big Mac in diversi Paesi e fornisce, di riflesso, un test della teoria della PPA. L’idea di base è che un Big Mac, essendo un prodotto standardizzato in tutto il mondo, dovrebbe avere lo stesso costo relativo in ogni Paese. Le differenze nel costo di un Big Mac espresso in dollari statunitensi riflettono quindi le differenze nel potere d’acquisto di ogni valuta. Per esempio, se un Big Mac costa 5,58 dollari negli Stati Uniti e 4,50 euro nell’area euro, il tasso di cambio implicito è di 1,24 dollari per euro. Se il tasso di cambio effettivo è diverso, allora una delle due valute è sopravvalutata o sottovalutata rispetto all’altra. L’indice del Big Mac non è un misuratore preciso della PPA, ma solo uno strumento semplice e divertente per renderla più comprensibile. Uno strumento che ha subito anche molte critiche da analisti ed esperti. Ci sono infatti molti fattori che influenzano il prezzo di un Big Mac in diversi Paesi, come le tasse, i salari, l’importazione dei componenti e il livello di concorrenza.