Stati Uniti

Ron DeSantis e gli altri: le reazioni contrastanti all'incriminazione di Donald Trump

Mentre i Democratici applaudono il lavoro della giustizia, sono pochissimi i Repubblicani che osano criticare il tycoon – E la spaccatura politica è sempre più ampia e profonda
© AP
Marcello Pelizzari
02.08.2023 11:00

Se i Democratici e i progressisti, negli Stati Uniti, hanno accolto con favore l'incriminazione di Donald Trump in relazione ai suoi sforzi per ribaltare il risultato delle presidenziali 2020, comprese le azioni legate all'assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, sul fronte Repubblicano si sono alzate, con sfumature differenti invero, barriere di difesa. Il principale rivale dell'ex presidente in vista del 2024, il governatore della Florida Ron DeSantis, pur non citando il tycoon per nome ha sentenziato: «Come presidente porrò fine alla strumentalizzazione del governo, sostituirò il direttore dell'FBI e garantirò un unico standard di giustizia per tutti gli americani». Non solo, DeSantis ha anche dichiarato che, se mai entrasse alla Casa Bianca, grazierebbe Trump. 

Che cosa ha detto Ron DeSantis

A sorprendere (eufemismo) il governatore della Florida, leggiamo, è il fatto che le accuse siano arrivate da Washington DC. Una città in mani democratiche. «Uno dei motivi per cui il nostro Paese è in declino è la politicizzazione dello Stato di diritto» ha dichiarato DeSantis, aggiungendo di voler promulgare «riforme in modo che gli americani abbiano il diritto di trasferire i casi da Washington DC ai loro distretti di residenza», lontano da giurie ai suoi occhi tutto fuorché imparziali.

La persecuzione politica, d'altro canto, da sempre è uno dei cavalli di battaglia di Trump, al momento confrontato con 78 accuse penali fra cui 40, a livello federale, in Florida per la conservazione di documenti riservati una volta lasciato l'incarico di presidente e altri 34 a New York per il pagamento in denaro, insabbiato, alla pornostar Stormy Daniels. Presto, il bilancio potrebbe aggravarsi considerando le accuse di sovversione elettorale in Georgia. Per tacere delle indagini in corso sulle sue aziende e della causa per diffamazione in cui era stato ritenuto colpevole di abuso sessuale. E proprio l'idea che, appunto, Trump sia vittima di persecuzione sta spingendo il tycoon in alto, molto in alto a livello di sondaggi e preferenze di voto. Nei sondaggi nazionali, fra i Repubblicani, vanta oltre 30 punti di distacco mentre in un sondaggio firmato New York Times-Siena College l'ex presidente ha raccolto il 54% dei consensi stracciando proprio DeSantis, fermatosi al 17%. Gli altri, fra cui Mike Pence, a suo tempo vice di Trump, si sono limitati a un misero 3%.

Le voci critiche fra i Repubblicani

Pence, martedì, ha commentato l'ennesima incriminazione di Trump definendola «un importante promemoria». E ancora: «Chiunque metta se stesso al di sopra della Costituzione non dovrebbe mai essere presidente degli Stati Uniti». Pence si è spinto oltre, uscendo dalle dichiarazioni di circostanza e affermando che, sebbene Trump goda del diritto di presunzione di innocenza, una sua candidatura per le presidenziali 2024 si tradurrebbe in ulteriori «chiacchiere sul 6 gennaio» e «distrazioni». Tradotto: i Democratici avrebbero campo libero.

Una critica, pesante, è arrivata da un outsider nella corsa alla Casa Bianca. Will Hurd, deputato alla Camera per il Texas dal 2015 al 2021, ha sentenziato che la candidatura di Trump alle presidenziali 2024 è dettata «dal tentativo di non finire in prigione e di truffare i suoi sostenitori facendo loro pagare le spese legali». Di più, «la sua negazione dei risultati delle elezioni del 2020 e le sue azioni del 6 gennaio dimostrano che è inadatto alla carica». Di nuovo: «Come repubblicani dobbiamo dare priorità all'offerta di soluzioni a questioni difficili che riguardano tutti gli americani. Se facciamo in modo che le prossime elezioni riguardino Trump, daremo a Joe Biden altri quattro anni alla Casa Bianca».

A pesare maggiormente, tuttavia, sono le voci pro-Trump. Byron Donalds, un trumpista durissimo alla Camera, ha sostenuto che il tycoon è vittima di un uso selettivo della giustizia, considerando che sarebbero stati «architettati accordi di favore per Hunter Biden, Hillary Clinton e il resto dei beniamini dei Democratici». Il sostegno di Donalds ha Trump, citiamo, «cresce a ogni tentativo eclatante del Dipartimento di Giustizia di Biden di interferire con le elezioni presidenziali del 2024».

Lo speaker della Camera, Kevin McCarthy, dal canto suo ha definito l'incriminazione un tentativo di distrazione. Della serie: così facendo, l'attenzione viene spostata dalle accuse di corruzione che coinvolgono Hunter Biden, il figlio dell'attuale presidente degli Stati Uniti. 

I Democratici e Michael Fanone

Le parole dei Democratici, per contro, riflettono la spaccatura, ampia e profonda, dello scenario politico attuale. L'ex speaker della Camera, Nancy Pelosi, che a suo tempo supervisionò due impeachment di Trump, ha detto che le accuse delineano «una trama sinistra». I leader Democratici di Camera, Hakeem Jeffries, e Senato, Chuck Schumer, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta: «La terza incriminazione del signor Trump illustra con dettagli scioccanti che le violenze del 6 gennaio 2021 sono state il culmine di un complotto criminale durato mesi, condotto dall'ex presidente per sfidare la democrazia e rovesciare la volontà del popolo americano». Questa incriminazione, hanno aggiunto, è «un chiaro promemoria che nessuno, incluso un presidente degli Stati Uniti, è al di sopra della legge».

A far riflettere, in queste ore, sono anche le parole di Michael Fanone, ex agente di polizia a Washington, rimasto gravemente ferito il 6 gennaio 2021. «Ho visto l'attacco del MAGA alimentato da Trump davanti ai miei occhi» ha raccontato. «È stato un attacco calcolato, premeditato e maligno. Mi disgusta il fatto che i repubblicani della Camera stiano atrocemente accorrendo in difesa del comportamento criminale di Trump».