Sadiq Khan rieletto sindaco di Londra

Nella debacle laburista del voto del 7 maggio, Londra fa eccezione: la capitale britannica ha infatti confermato sulla poltrona di sindaco Sadiq Khan, nel 2016 primo musulmano in questo ruolo in una capitale dell’Unione europea. Al termine di una sfida più difficile del previsto con il rivale conservatore Shaun Bailey - che lo ha portato ad una sorta di ballottaggio in cui si contano le seconde preferenze - Khan, che ha condotto un’infaticabile campagna porta a porta, si è aggiudicato il 55,2% dei consensi contro il 44,8 del suo avversario Tory.
Dato per spacciato dai sondaggi della vigilia, Bailey porta a casa un risultato comunque notevole, aumentando i voti per i conservatori in città dell’1,6%. Anche se questo non intacca il dominio Labour nel consiglio comunale.
Parlando dopo l’annuncio dei risultati ufficiali dello scrutinio Khan, 51 anni, di origine pachistana, ha detto di voler «sempre essere il sindaco di tutti i londinesi. Lavorerò per migliorare la vita di ogni singola persona di questa città. I risultati delle elezioni in tutto il Regno Unito mostrano che il nostro Paese, ed anche la nostra città, restano profondamente divisi. Le ferite della Brexit devono ancora guarire. Una brutale guerra culturale ci sta separando sempre di più». Sottolineando come le disuguaglianze economiche stiano peggiorando, a Londra e altrove, Khan ha invitato quindi a cogliere l’occasione della ripartenza post-COVID: «Mentre ci impegniamo a ricostruire dopo la pandemia, usiamo questo momento di ripresa nazionale per sanare quelle ferite».
Ma il successo di Khan non basta a lenire le ferite del Labour a livello nazionale, dove è già esplosa la guerra delle accuse incrociate: la prima a saltare è stata la coordinatrice della campagna elettorale Angela Rayner, licenziata dal leader del partito Keir Starmer, pure lui nel mirino.
Il tracollo laburista è comunque solo uno dei temi che dominano il dibattito politico dopo il voto. L’altro, ben più incandescente, è il secondo referendum per l’indipendenza a cui punta lo Scottish National Party della Prima ministra Nicola Sturgeon, forte dei suoi 64 seggi al Parlamento di Edimburgo (1 in meno della maggioranza assoluta, ma che può contare sui voti di otto Verdi indipendentisti). Un’intenzione chiara, che Sturgeon ritiene non possa essere democraticamente ostacolata da Boris Johnson o da chiunque altro a Westminster. Ma un piano che il premier al momento intende rallentare con una proposta di vertice: Johnson ha scritto a Sturgeon e al primo ministro e leader dei laburisti gallesi Mark Drakeford per congratularsi per le loro vittorie elettorali, invitandoli a tenere un incontro nel quale discutere come il ‘Team Uk’ possa riprendersi dalla pandemia di COVID-19. L’invito è stato esteso anche al primo ministro dell’Irlanda del Nord.
Johnson ha sottolineato che «i cittadini del Regno Unito vengono serviti al meglio quando lavoriamo insieme. Discutiamo delle sfide che ci riguardano tutti». Sturgeon ha già detto di sì all’incontro, e Drakeford, che pure non vuole l’indipendenza del Galles, ha affermato che è comunque giunto il momento di «resettare i rapporti con le amministrazioni delle nazioni... invece di issare più bandiere dell’Union Jack sugli edifici, serve costruire relazioni chiare e rispettose tra i nostri quattro parlamenti». «Questo è il Regno Unito che avrà le migliori chance di sopravvivere, perché le persone ne vorranno far parte», ha predetto, fornendo così a Johnson una strategia che potrebbe disinnescare il voto indipendentista oltre il Vallo di Adriano.