Se vietare i voli interni rischia di far aumentare le emissioni di CO2

Martedì, quando è entrata in vigore la cosiddetta legge sul clima e sulla resilienza, il ministro dei Trasporti francese Clément Beaune ha subito annunciato di voler andare oltre. Ovvero, oltre la soppressione di alcuni voli interni. Logico, verrebbe da dire, dal momento che allo stato attuale solamente tre rotte – o se preferite lo 0,02% delle emissioni legate al trasporto aereo in Francia, stando alle compagnie – rientrano fra le restrizioni. Tutte, fra l'altro, da e per Orly. Non solo: la chiusura delle tratte Parigi-Lione, Parigi-Bordeaux e Parigi-Nantes, di fatto, era stata già decisa nel maggio del 2020. Prima, dunque, di una legge vera e propria. Una legge monca, secondo gli esperti, proprio perché incapace di andare oltre come, ora, intende fare Beaune.
L'alternativa e le eccezioni
Da una parte, il problema è legato all'alternativa ferroviaria al di sotto delle due ore e mezza. La condizione affinché il divieto, per un volo interno, possa concretizzarsi. Le tre rotte citate, a conti fatti, sono le sole che dispongono appunto di un'alternativa su rotaia. Non tanto perché la rete TGV, in Francia, è carente (lo è, in particolare nel collegare alcuni centri regionali) ma perché i voli da e per Parigi Charles-de-Gaulle non vengono toccati dalla misura. E questo per non spazientire, e di riflesso indebolire, Air France, la compagnia di bandiera.
Dall'altra, se questa legge – di suo – poco o nulla fa per contrastare le emissioni di CO2, il rischio che, ora, si crei un circolo vizioso è forte, se non fortissimo. Le compagnie, infatti, riallocheranno flotte e sforzi dalla rete nazionale verso destinazioni estere a medio raggio, in Europa. Una questione di slot di decollo da difendere, ma anche di aeromobili che solo volando possono essere redditizi. Tradotto: volare dalla Francia verso l'estero diventerà una sorta di refugium peccatorum per le compagnie. Che potranno permettersi maggiori emissioni di CO2 senza, peraltro, nemmeno l'obbligo di compensazione, previsto invece sui voli interni.
E la Svizzera?
Il punto, insomma, è che senza una contemporanea riduzione del numero di slot negli aeroporti, come ha deciso Amsterdam, il solo di vieto per (alcuni) voli interni non avrà alcun effetto o beneficio. Il trasporto aereo nazionale pesa, sul totale delle emissioni di CO2 della Francia, per un buon 4%. Escludendo i voli verso i dipartimenti e i territori francesi d'Oltremare, questa quota si riduce della metà.
Significa, a conti fatti, che la legge è stata pensata per accontentare, in parte, ambientalisti e oppositori dell'aviazione e, allo stesso tempo, tranquillizzare il settore. A maggior ragione se, viste le mancanze della SNCF, la società statale che gestisce le infrastrutture ferroviarie, il trasporto aereo può mantenere un'importanza sistemica per l'economia e lo sviluppo regionale.
In Svizzera, concludendo, il solo volo interno rimasto è quello sull'asse Ginevra-Zurigo. Una tratta che, a Swiss, serve principalmente per fare feederaggio, e cioè a far confluire passeggeri verso l'hub di Zurigo affinché possano reimbarcarsi su un volo intercontinentale. Una tratta finita, secondo logica, nelle mire degli ambientalisti che, attraverso la Sessione dei giovani, nel 2021 avevano portato il tema anche a Palazzo federale. Nel 2019, Swiss e le FFS avevano avviato una partnership strategica per sviluppare la cosiddetta intermodalità, tramite l'offerta combinata denominata Swiss Air Rail che consente ai passeggeri di prenotare un volo e un biglietto ferroviario dalle principali città svizzere agli aeroporti di Ginevra, Basilea e Zurigo. Eppure, il collegamento aereo fra i due principali scali del Paese a oggi resiste.