«Senza aiuti, fino a 14 mila bambini potrebbero morire a Gaza nelle prossime 48 ore»

La situazione a Gaza è drammatica. La più drammatica da ottobre 2023 a questa parte. Nelle scorse ore, il capo degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite, Tom Fletcher, ha parlato al programma Today di Radio 4 della BBC della scarsa quantità di aiuti che Israele sta facendo entrare a Gaza, dopo 11 settimane di stop totale.
Fletcher ha dichiarato che ieri sono arrivati a Gaza cinque camion di aiuti, ma li ha definiti una «goccia nell'oceano» di risorse necessarie per sfamare i 2,1 milioni di palestinesi dopo il devastante blocco che, voluto da Israele, ha portato la fame più totale nella Striscia.
Secondo quanto dichiarato da Fletcher alla BBC, 14.000 bambini potrebbero morire nelle prossime 48 ore se gli aiuti non arriveranno in tempo. «Voglio salvare il maggior numero possibile di questi 14.000 bambini nelle prossime 48 ore». Il numero, ha spiegato il numero uno degli aiuti umanitari ONU all'emittente britannica, è stato ottenuto grazie a collaboratori delle Nazioni Unite ancora sul posto: «Molti di loro sono stati uccisi, ma abbiamo ancora squadre forti sul terreno. Sono nei centri medici, sono nelle scuole, cercando di valutare i bisogni».
Dubbi sulla distribuzione
Gli aiuti entrati nelle scorse ore a Gaza hanno seguito i soliti canali ONU. Ma a partire dalla prossima settimana, come annunciato a inizio maggio dagli Stati Uniti, a gestire la distribuzione di aiuti a Gaza sarà una nuova fondazione (la Gaza Humanitarian Foundation, GHF), un'organizzazione americana registrata in Svizzera e guidata dall'ex marine statunitense Jake Wood.
L'ONU e numerosi gruppi umanitari, nelle scorse settimane, hanno annunciato di non voler collaborare con la GHF, esprimendo preoccupazioni sul funzionamento e la neutralità della fondazione, sostenendo che il modo in cui la GHF intende operare viola alcuni principi umanitari fondamentali. La distribuzione degli aiuti, ad esempio, avverrà alla presenza di forze di sicurezza rappresentate da appaltatori militari privati, tra cui una società americana presente sul terreno durante il cessate il fuoco all'inizio di quest'anno, secondo quanto riportato dai media statunitensi, mentre l'esercito israeliano seguirà a distanza la distribuzione per fornire ulteriore sicurezza.
Il fatto che i siti iniziali si trovino solo nel sud e nel centro di Gaza, sottolinea poi la CNN, potrebbe essere visto come un incoraggiamento all'obiettivo pubblicamente dichiarato da Israele di costringere «l'intera popolazione di Gaza» ad abbandonare il nord della Striscia.
Le Nazioni Unite, si legge sulla CNN, affermano che il coinvolgimento dell'esercito israeliano nella sicurezza dei siti - anche se a distanza - «potrebbe scoraggiare la partecipazione o portare i destinatari a subire rappresaglie», mentre gli appaltatori militari privati, «potrebbero usare la forza come meccanismo di controllo della folla».
Ma soprattutto, l'iniziativa è stata considerata insufficiente dall'ONU e dagli altri gruppi umanitari. Sempre secondo l'emittente americana, i punti di distribuzione di aiuti a Gaza sono 400. Ma gli aiuti inviati nella Striscia tramite la GHF passerebbero attraverso solo una manciata di essi, costringendo le persone «a camminare per lunghe distanze trasportando razioni pesanti».
Nelle scorse ore, lo chef Jose Andres, fondatore della World Central Kitchen (WCK) ha affermato che i piani di Israele di istituire centri di distribuzione degli aiuti nelle aree controllate da Israele nel sud di Gaza richiederanno settimane per decollare e «lasceranno i palestinesi alla fame».
«I membri della GHF dovrebbero vergognarsi», ha affermato Andres in un post su X. «Abbiamo già un sistema per sfamare tutti i palestinesi con l'aiuto dei palestinesi....creando posti di lavoro e sistemi nel processo...!».
Accuse sono arrivate nelle scorse anche dalla vicina Italia. Cecilia Strada, già presidente dell'ONG Emergency e membro del Parlamento europeo, ha accusato il governo Netanyahu di voler militarizzare gli aiuti: «Saranno contractors militari privati a distribuirli, una cosa che va contro ogni principio umanitario. È anche un piano logisticamente infattibile: pensano di avere 4 o 5 punti di distribuzione. Per due milioni di persone? È un progetto gravissimo, affidato a una oscura fondazione americana, appena creata allo scopo, senza alcuna esperienza umanitaria».
Misure europee
Nelle scorse ore, alcuni governi europei hanno preso una posizione più forte nei confronti di Israele sulla necessità, come da diritto umanitario internazionale, di lasciare entrare aiuti immediati e senza limiti nella Striscia. Il ministro degli Esteri francese Jean-Noel Barrot, ad esempio, ha dichiarato che «sono necessari aiuti immediati e massicci» a Gaza, un giorno dopo che il suo Paese ha firmato una dichiarazione congiunta con altri Paesi europei in cui si minacciano ulteriori azioni se Israele non rimuove completamente il blocco. In un'intervista rilasciata alla radio francese Inter Radio, Barrot ha dichiarato che la revoca parziale del blocco da parte di Israele, avvenuta lunedì, è «totalmente insufficiente».
«La violenza indiscriminata e il blocco degli aiuti umanitari da parte del governo israeliano» hanno trasformato il territorio assediato in «una trappola mortale», ha aggiunto. Barrot ha inoltre dichiarato che il suo governo è favorevole a una revisione dell'accordo commerciale tra Unione Europea e Israele, a causa delle preoccupazioni sul rispetto degli impegni assunti da Israele in materia di diritti umani. La proposta, guidata dal ministro degli Esteri olandese Caspar Veldkamp, si basa sull'articolo 2 dell'Accordo di associazione UE-Israele, che consente la sospensione se l'UE stabilisce che Israele sta commettendo gravi violazioni dei diritti umani.