Cina

Senza letti né ossigeno: l'ondata di COVID-19 travolge Pechino

Con l'improvvisa fine delle rigidissime quarantene, il coronavirus torna a diffondersi nel Paese asiatico — A pagarne il prezzo sarebbero le fasce più vulnerabili della popolazione, poco vaccinate e sinora mai davvero entrate in contatto con il virus
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Giacomo Butti
24.12.2022 15:01

L'evoluzione epidemiologica della COVID-19 in Cina preoccupa, e parecchio. Nel mese di dicembre, stimano i funzionari di Pechino, il 18% circa della popolazione ha dovuto fare i conti con il coronavirus.  Stiamo parlando di qualcosa come 250 milioni di contagi. Numeri impressionanti, questi, rivelati dal vicedirettore del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie in un briefing tenutosi giorni fa, riporta il Financial Times. Informazioni riservate sfuggite da una riunione a porte chiuse che contrastano, e fortemente, con quelli forniti dalla National Health Commission (NHC), la Commissione cinese per la salute, che afferma di aver registrato solamente 62.592 casi sintomatici di COVID nello stesso periodo. Settimane fa, il Paese aveva abbandonato all'improvviso, senza alcuna distensione graduale, la politica "zero COVID". Un cambiamento totale per la popolazione, che si è trovata a passare da draconiane quarantene di massa alla normalità prepandemica. E ora, riferiscono media internazionali, gli ospedali della capitale (e non solo) stanno pagando il prezzo di una nuova, incontrollata, ondata di coronavirus.

Questione di numeri

Il vicedirettore del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie non è l'unico ad avere fornito numeri difficilmente accostabili alla narrativa proposta da Pechino e dalla NHC. Un alto funzionario della Sanità di Qingdao ha fatto sapere ieri che nel solo centro portuale circa mezzo milione di persone sarebbe infettato ogni giorno. Un rapporto, il suo, reso pubblico da un notiziario gestito dal Partito Comunista, ma che poche ore dopo ha visto un'importante revisione. Cancellate le cifre, la NHC ha proposto un nuovo dato: solo 4.103 i nuovi contagi conteggiati a livello nazionale, nelle ultime 24 ore. Nessun decesso.

La poca trasparenza nelle informazioni ufficiali diffuse dalla Cina aveva già spinto Washington e l'Organizzazione mondiale della sanità (WHO) all'appello: «Pechino parli più chiaramente della nuova ondata di COVID». Giovedì, il segretario di Stato americano Antony Blinken aveva evidenziato: «È molto importante che tutti i Paesi, compresa la Cina, si concentrino sulla vaccinazione delle persone, sulla disponibilità di test e trattamenti e, soprattutto, sulla condivisione di informazioni con il mondo su ciò che stanno vivendo».

Che lettura dare alla discrepanza nei numeri? Se tenere conto di tutti i contagi è oggi più difficile, si è difeso il governo cinese, «è perché non si effettuano più test di massa». Ma le cifre proposte da Pechino sono basse, troppo basse, se confrontate alla situazione descritta dai media internazionali presenti.

Fra ospedali e crematori

Dopo le proteste e la fine delle quarantene, buona parte della popolazione cinese si trova oggi ad avere a che fare, per la prima volta, con il coronavirus. Un'improvvisa esposizione che sta mettendo in pericolo le fasce più vulnerabili. Come gli anziani: secondo dati diffusi dalla stessa NHC, solo il 40% degli over 80 avrebbe già ricevuto una dose booster di vaccino.

Le conseguenze? Gravi. E anche qui i numeri non quadrano. La Cina ha ufficialmente riportato solo otto decessi dal 1. dicembre: un dato difficile da far combaciare con le difficoltà che i crematori di Pechino starebbero affrontando nel gestire i cadaveri in arrivo dagli ospedali sempre più colmi. E sono proprio i nosocomi a vivere la situazione peggiore. Nella capitale, riportano i giornali britannici e americani, gli ospedali sono attualmente invasi da pazienti anziani malati di COVID-19. Mentre al pronto soccorso i letti sono esauriti e chi chiama l'ambulanza deve aspettare ore, i medici stessi sono troppo malati per mantenere il ritmo di lavoro. Alcune strutture, riporta il Financial Times, sarebbero già a corto di ossigeno per i pazienti con difficoltà respiratorie. Immagini forti, queste, che riportano alla mente la prima ondata registrata nel 2020.

Secondo diversi modelli, tra i quali uno finanziato dalla NHC, il Paese potrebbe contare fino a un milione di decessi nel periodo successivo alle improvvise riaperture. Di fronte alle critiche internazionali riguardanti non solo il conteggio dei contagi, ma anche quello dei decessi, Pechino ha difeso la propria accuratezza, rivelando di aver aggiornato il metodo di calcolo delle morti dovute al coronavirus. Secondo le ultime linee guida della NHC, riporta la CNN, solo i decessi causati da polmonite e insufficienza respiratoria dopo aver contratto il virus sono classificati come decessi dovuti alla COVID. Chi è invece morto, seppur infetto, a causa di altre complicazioni o per difficili condizioni di base, non sarà conteggiato fra i decessi dovuti al coronavirus. Una definizione «troppo ristretta» e che non basta a spiegare la drammatica situazione nelle città cinesi. Commentando i criteri di conteggio, il responsabile delle emergenze della WHO, Michael Ryan, ha affermato: «La morte per COVID-19 avviene per il malfunzionamento di diversi sistemi e organi, collassi dovuti dalla gravità dell'infezione. Quindi, limitando la diagnosi di morte per COVID a chi è deceduto per difficoltà respiratorie, si sottostima di molto il numero reale di morti associate alla malattia».

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