L'analisi

Social, guerra e disinformazione: la lezione (non) imparata

Da Meta a X, passando per TikTok, le piattaforme continuano a ospitare contenuti tarocchi spacciati per veri: con meccanismi e schemi che ricordano l'inizio del conflitto in Ucraina
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Marcello Pelizzari
15.10.2023 16:45

Disinformazione. E piattaforme. Un connubio che, già (quasi) due anni fa, aveva fatto storcere il naso. Per un semplice motivo: l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia era stata accompagnata da una valanga di fake news. In larga parte generata e alimentata dal Cremlino stesso, abilissimo a sfruttare i tanti, troppi buchi lasciati dai gestori dei social network.

La lezione, evidentemente, non è servita. Sebbene molto, nel frattempo, sia cambiato. A cominciare da Twitter che, ora, si chiama X ed è nelle mani di Elon Musk. Eppure, dicevamo, anche a questo giro, con il riacutizzarsi del conflitto israelo-palestinese in seguito all’attacco terroristico di Hamas, la disinformazione si è inserita fra le pieghe degli scontri. Basti pensare ai falsi video divenuti immediatamente virali dopo le incursioni del gruppo militante palestinese.

Gli esperti, addirittura, ritengono che il panorama sia peggiorato. E pure molto. Per tacere delle autorità politiche, con l’Unione Europea in prima fila nel bacchettare Big Tech o, meglio, le aziende dietro ai social più famosi e utilizzati.

Se il peggiore è X

Gli analisti, più o meno, concordano su un punto: X, l’oramai ex Twitter, ha mostrato il lato peggiore possibile. D’altronde, il meccanismo stesso della piattaforma spinge – in un certo senso – alla disinformazione. E questo perché gli account con spunta blu, oltre a pagare, possono a loro volta essere pagati da X qualora i loro post diventassero virali. E che cosa c’è di meglio, in questo senso, delle fake news? Non solo, Musk per sua stessa ammissione ha licenziato «ampie fasce» dei team di moderazione dei contenuti. Significa che gli stessi contenuti, anche se falsi, rimangono e si diffondono senza problemi sulla piattaforma.

Le notizie? Non interessano più

Sia Facta, con cui il CdT vanta una collaborazione, sia altri fact-checkers professionisti hanno notato, nel caso di Israele e Hamas, schemi pressoché simili a quelli utilizzati a suo tempo per la guerra in Ucraina. Disinformazione tanto al chilo, consentiteci l’espressione, tramite vecchi video spacciati per nuovi. Shayan Sardarizadeh, giornalista della BBC esperto di disinformazione, ha spiegato a Reuters che in questo momento stanno circolando perfino video rieditati affinché sembrino autentici reportage della televisione britannica.

Un tempo (quando si chiamava Twitter) ritenuto fonte affidabile per notizie in tempo reale, oggi X assomiglia a un social alla deriva. Detto ciò, nessun rivale sembrerebbe intenzionato a raccogliere il testimone sul fronte giornalistico. Di sicuro, non Threads. A conferma che Meta, in realtà, si sta allontanando dal cosiddetto news business.

Il caso di Donald Trump Jr.

Rimanendo a X, la moderazione o, se preferite, la veridicità dei contenuti sono soggette alle cosiddette Note della collettività. Un sistema di fact-checking basato, in sostanza, sul volontariato degli utenti. Che si prestano a verificare quanto pubblicato dagli altri.

E qui, beh, riportiamo un episodio singolare se non addirittura paradossale di cui, fra gli altri, ha parlato Wired. Lo scorso 10 ottobre, Donald Trump Jr. ha postato su X un video che mostrava alcuni combattenti di Hamas uccidere senza pietà cittadini israeliani. Immagini legate alle azioni del 7 ottobre. «Non si negozia di fronte a questo – ha scritto Trump Jr. nel post –. C’è solo un modo per gestire la cosa». Il figlio dell’ex presidente statunitense, quindi, ha aggiunto che il video proveniva da una «fonte interna a Israele». Il post, ovviamente, è stato iper-condiviso. Tant’è che, presto, ha superato 4 milioni di visualizzazioni.

Tutto normale? Non proprio. Il sistema di fact-checking, infatti, ha aggiunto un messaggio al post. Spiegando che il video era vecchio e, ancora peggio, non proveniva da Israele. Tradotto: Trump Jr. ha contribuito all’ondata di disinformazione che ha investito X poco dopo l’attacco di Hamas. E che Musk, di suo, ha alimentato. E invece no, Wired ha accertato che il sistema, nello specifico, si è sbagliato. Il video pubblicato da Trump Jr., secondo un’analisi OSINT, è stato girato il 7 ottobre e mostrava esattamente dei combattenti di Hamas.

Ma l'UE non ci sta

Il pessimo comportamento delle piattaforme, evidentemente, emerge con maggiore chiarezza se pensiamo che, questo, è il primo conflitto internazionale di rilievo dall’entrata in vigore delle nuove regole, all’interno dell’Unione Europea, sulla moderazione dei contenuti online per le grandi piattaforme. La stessa UE, non a caso, pochi giorni fa ha avvertito X, Meta ma anche TikTok. Il succo? Sulle vostre piattaforme vengono diffusi contenuti illegali e disinformazione, fate qualcosa altrimenti pioveranno sanzioni. Anche pesanti.