Elezioni

Spagna, i popolari vincono ma si rischia di tornare al voto

Il partito guidato da Nuñez Feijóo ottiene oltre 8 milioni di voti e 136 seggi al Congresso, ma il calo dei consensi per Vox non gli consente di formare una coalizione di maggioranza – Si attendono ora le mosse delle formazioni indipendentiste
©Cabalar
Mario Magarò
24.07.2023 23:30

Le prime elezioni generali «in tenuta balneare» nella storia della Spagna, così come apostrofate da alcuni elettori per evidenziarne l’atipica celebrazione in piena stagione estiva, si sono concluse con un sostanziale nulla di fatto, ovvero il mancato raggiungimento di una maggioranza assoluta in Parlamento. Con una partecipazione intorno al 70% degli aventi diritto, in linea con le previsioni, le elezioni appena celebrate hanno visto circa 2,5 milioni di persone ricorrere al voto per posta, stabilendo un record nazionale per il Paese iberico.

Vittoria di Pirro per i popolari?

Il Partito popolare guidato da Alberto Nuñez Feijóo ha confermato i pronostici della vigilia, vincendo le elezioni con oltre 8 milioni di voti e assicurandosi 136 seggi al Congresso dei Deputati, un netto miglioramento rispetto alle elezioni del 2019. Una vittoria che rischia però di tradursi in una bolla di sapone, considerando che il responso delle urne non è bastato per ottenere la maggioranza assoluta e governare da soli, obiettivo dichiarato dei popolari prima del voto. Una meta frustrata, quella della mancata maggioranza assoluta, a cui ha fatto da corollario il negativo risultato dell’estrema destra di Vox, che ha ottenuto soli 33 seggi al Congresso. Numeri che impediscono anche la possibilità di una coalizione di governo tra Vox e popolari, non essendo la somma dei rispettivi voti sufficiente per il raggiungimento dei 176 seggi necessari per ottenere la maggioranza assoluta. «Gli spagnoli hanno espresso la propria volontà», dichiarava Feijóo appena confermata la vittoria alle urne, aggiungendo di «voler chiedere espressamente al Partito socialista e alle altre forze politiche di non boicottare la formazione di un nuovo Governo». Parole che sanno di amara presa di coscienza da parte del leader dei popolari, intenzionato a provare a ogni costo a formare un Esecutivo, anche chiedendo una sorta di via libera agli avversari, ma consapevole di non avere i numeri necessari dalla sua parte. Dal canto suo Santiago Abascal, leader di Vox, ha dovuto fare i conti con un risultato che non riflette la proiezione inizialmente attribuita dai sondaggi al suo partito, anche alla luce dei numeri esibiti alle recenti elezioni municipali e regionali. Le urne hanno invece decretato una diminuzione di circa 600 mila consensi rispetto al 2019, che significano 19 seggi in meno in Parlamento. Una sorta di doccia gelata per Vox, che ha registrato, di fatto, il risultato peggiore tra i principali partiti, vedendo così frustrate le proprie aspirazioni a formare parte di un Governo centrale per la prima volta nella storia.

La sinistra tiene botta

«Il blocco delle destre ha fallito», annunciava di fronte ai propri militanti il premier Pedro Sánchez, evidenziando la sensazione predominante, di pericolo scampato, che albergava nei cuori del centro-sinistra, considerando che i favori dei pronostici erano tutti per il binomio Vox-popolari. Una performance elettorale, quella dei socialisti, che ha addirittura migliorato i risultati della precedente tornata elettorale, ottenendo oltre sette milioni di voti e due seggi in più in Parlamento. Numeri a cui hanno fatto seguito i circa tre milioni di elettori che hanno scelto la piattaforma Sumar, la nuova creatura politica guidata dalla ministra del Lavoro Yolanda Diaz, un risultato frutto soprattutto delle importanti riforme sociali ed economiche promosse dalla stessa Diaz. Nonostante la soddisfazione espressa per il mancato trionfo delle destre, i risultati del blocco di sinistra, incentrato sull’asse socialisti-Sumar, sono lontanissimi dal raggiungimento della maggioranza assoluta in Parlamento, con soli 153 seggi messi a referto. Numeri che chiamano inevitabilmente in causa i partiti indipendentisti baschi e catalani, dal cui appoggio dipende la formazione di una nuova coalizione che sostenga un Governo a maggioranza socialista. Unica via possibile, dati alla mano, per scongiurare un ritorno alle urne.

JxCat ago della bilancia

Se da parte di Esquerra Republicana, partito attualmente alla guida della Catalogna, hanno fatto già trapelare, seppur non esplicitamente, la disponibilità a investire Pedro Sánchez, così come i baschi di EH Bildu, nell’ottica prioritaria di impedire nuove elezioni che potrebbero determinare l’ingresso di Vox al Governo, lo stesso non può dirsi dell’altra anima dell’indipendentismo catalano, ovvero JxCat, formazione legata all’ex presidente Puigdemont. «Non faremo Sánchez presidente in cambio di nulla», ha dichiarato la candidata presidenziale Míriam Nogueras, condizionando il sostegno a un nuovo Esecutivo socialista alla celebrazione di un Referendum indipendentista in Catalogna e alla concessione dell’amnistia per i politici catalani ancora sotto processo. Richieste inammissibili per i socialisti, ma la macchina della diplomazia è già al lavoro, con Sumar che ha incaricato ufficialmente Jaume Asens di trattare con JxCat per sbloccare la situazione di impasse.