Strage del Mottarone: «È passato un anno, ci hanno abbandonato tutti»

È stato il giorno del doloroso ricordo, delle lacrime, della commozione, ma anche il giorno in cui hanno trovato spazio qualche polemica e la richiesta corale di «giustizia», quello di oggi al Mottarone.
Proprio dove è precipitata la cabina numero 3, è stata posata una stele dedicata alle 14 persone, tra cui due bimbi che domenica 23 maggio dell'anno scorso, in tarda mattinata erano saliti in funivia per arrivare in vetta e godersi lo spettacolo del Lago Maggiore e del Monte Rosa e, invece, hanno trovato la morte. Uno solo si è salvato, il piccolo Eitan.
Per non dimenticare, e per fare in modo che questa tragedia e le sue vittime non cadano nell'oblio, stamane si è tenuta una cerimonia. Prima in mezzo al bosco, tra gonfaloni, istituzioni, forze dell'ordine, soccorritori, ma soprattutto alla presenza dei parenti, è stata scoperto, tra lacrime e singhiozzi di alcuni, un cippo con incisi i nomi di chi è morto. Poi in una chiesetta in cima al monte, non molto lontano all'ultima stazione dell'impianto, quella mai raggiunta dalla teleferica, una messa per condividere il dolore e quella ferita ancora aperta e che mai si rimarginerà.
«Oggi è davvero terribile, ci stavamo riprendendo un pochino e ritornare qui è come rigirare il coltello nella piaga», dice la nonna di Alessandro Merlo, a bassa voce e con i lucciconi agli occhi, ancor prima di incamminarsi in mezzo al bosco. «È straziante perché sento che, pur essendo passato un anno, la cosa non è sedimentata», aggiunge Beatrice, nipote di Vittorio Zorloni, un'altra delle quattordici vittime.
In tanti hanno preferito non parlare e vivere questa giornata in modo riservato. La famiglia di Eitan, i Biran-Nirko, con Aya e il fratello e i nonni, hanno chiesto di poter stare soli qualche minuto davanti alla stele. Qualcuno si è sentito male e qualcun altro non è riuscito a nascondere la rabbia.
Come la signora Teresa, mamma di Elisabetta Personini e nonna del piccolo Mattia: «È passato un anno, ma nessuno si è fatto sentire. Ci hanno tutti abbandonato, non ci hanno fatto neanche le condoglianze. È peggio del ponte Morandi. Vogliamo conoscere la verità - ha aggiunto al fianco del marito, appoggiandosi al figlio - e che giustizia sia fatta in fretta».
Una richiesta, quella di avere giustizia, corale, dal presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, alla sindaca di Stresa Marcella Severino, fino al parroco don Gianluca Villa. Il governatore, oltre a rivolgere un pensiero alle «persone che non ci sono più», ha voluto parlare anche di Eitan: «Il suo nome significa forza, la forza di pensare che c'è un domani».
E poi, oltre a sottolineare di quanto «le istituzioni fanno bene a onorare» le vittime della sciagura per evitare «l'oblio», ha continuato: «chiedere giustizia non fa tornate indietro le persone, ma è un dovere che le istituzioni devono garantire».
Sulla stessa lunghezza d'onda la prima cittadina, che ha portato ai familiari «l'abbraccio di tutta la città» e il parroco nella sua omelia: «Una mancata giustizia - ha affermato - sarebbe un diabolico freno a mano contro la speranza e un cazzotto allo stomaco per tutti coloro che credono e lottano per la giustizia».
Una giustizia che il procuratore di Verbania, Olimpia Bossi, e il pubblico ministero Laura Correra, presenti alla cerimonia, hanno di nuovo assicurato: «abbiamo sempre avuto come nostro obiettivo quello di rispondere alle richieste di verità». Verità che per gli zii e i nonni di Eitan, «emergerà», ne sono convinti.