Summit Trump-Putin: ecco il programma e i nodi principali

Manca poco, pochissimo. Questa sera, ad Anchorage, Alaska, andrà in scena lo storico faccia a faccia fra il presidente statunitense Donald Trump e l'omologo russo Vladimir Putin. Un vertice il cui obiettivo è raggiungere un accordo per la fine della guerra in Ucraina. Ma che, è evidente, il leader del Cremlino vuole usare come rampa per il ripristino dei rapporti USA-Russia. E il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha già annunciato che l'incontro odierno non porterà alla pubblicazione di alcuna dichiarazione scritta congiunta: «Non è atteso un documento, niente è stato preparato», ha sottolineato Peskov. «Ma poiché ci sarà una conferenza stampa congiunta, il presidente Putin illustrerà naturalmente la portata degli accordi che potrà raggiungere».
Tanto, insomma, è ancora in divenire. Ecco che cosa sappiamo.
Il programma
Come detto, il confronto fra Donald Trump e Vladimir Putin si terrà ad Anchorage, nella base militare Elmendorf-Richardson, e avrà inizio alla 21, ora svizzera (lo ha affermato quest'oggi la Casa Bianca, ieri il Cremlino aveva indicato le 21.30, ndr). Si calcola - se tutto andrà bene - che l'intero svolgimento dell'incontro possa andare avanti per almeno tre-quattro ore, quando in Europa sarà notte fonda. Ma nelle principali cancellerie del Vecchio Continente in pochi dormiranno. Ad Helsinki nel 2018 il bilaterale tra i due leader durò quasi due ore.
Putin sarà accompagnato da tre ministri e alcuni fedelissimi funzionari: insieme al consigliere del Cremlino Yuri Ushakov, saranno presenti il consigliere per gli investimenti stranieri Kirill Dmitriev e i ministri degli Esteri Sergei Lavrov, della Difesa Andrej Belousov e delle finanze Anton Siluanov. Nella delegazione di Trump ci saranno tra gli altri il segretario di stato Marco Rubio e l'inviato speciale Steve Witkoff.
Il vertice si aprirà con un faccia a faccia fra i due leader a porte chiuse: soli in una stanza ad eccezione della presenza degli interpreti, come accaduto a Helsinki. Il bilaterale sarà seguito da un pranzo di lavoro e da scambi tra le due delegazioni. Al termine una conferenza stampa che dovrebbe essere congiunta, a meno che il dialogo, come già successo mesi fa nell'incontro-scontro fra Trump e Zelensky, non si complichi.
L'obiettivo di Trump è raggiungere la pace fra Russia e Ucraina, compiendo un ulteriore passo verso quel premio Nobel per la Pace al quale aspira. L'agenda americana ha come priorità proprio Kiev, mentre quella russa, come già detto, è ben più ampia. Il Cremlino punta infatti a lanciare un 'reset' delle relazioni con gli Stati Uniti, inclusa una possibile cooperazione bilaterale commerciale ed economica. Lo zar auspica che la Russia e Stati Uniti possano iniziare a lavorare a un nuovo trattato sul controllo degli armamenti strategici dopo il vertice in l'Alaska. Al momento è in vigore solo un accordo fra i due Paesi, il New Start, destinato a scadere in febbraio.
I nodi
Ma su quali basi si baserebbe un possibile accordo? Tutto risiede nelle mire russe sui territori ucraini. Nella sostanza, in ballo ci sono 5 regioni: la Crimea, penisola di fatto già annessa dal Cremlino nel 2014, nonché le due oblast russofone del cosiddetto Donbass, Lugansk e Donetsk, controllate l'una in toto e l'altra quasi da Mosca; e quelle di Kherson e Zaporizhzhia, occupate in misura inferiore. Regioni rispetto alle quali occorrerà tracciare dei confini, o almeno una linea armistiziale, nell'ambito di qualunque ipotesi d'accordo di pace o di tregua duratura. I due modelli di riferimento citati da più parti sono quelli della Corea e della Cisgiordania: termini di paragone peraltro approssimativi e remoti.
Indicata per primo dal generale Keith Kellogg, negoziatore americano relegato in seconda fila dall'amministrazione Trump, la soluzione coreana è stata riecheggiata più di recente come una sorta di male minore pure da alcuni degli alleati europei di Kiev associati nella cosiddetta "coalizione dei volenterosi": sotto forma di congelamento della linea del fronte attuale nelle parole del cancelliere tedesco Merz o dello stesso presidente Zelensky. L'analogia riguarda il confine che da 72 anni divide - in assenza di alcun trattato di pace formale - la Corea del Nord e la Corea del Sud, lungo una delle frontiere più militarizzate del pianeta, tanto stabile quanto soggetta a tensione permanente.
Stando alle idee attribuite dalla stampa britannica a Kellogg, questo modello garantirebbe la fine delle ostilità, dando vita a tre aree distinte: con i territori già occupati destinati a rimanere a tempo indeterminato sotto controllo russo; l'Ucraina occidentale e meridionale (con Leopoli, Kiev e Odessa) affidata alla tutela delle "garanzie di sicurezza" di un contingente di "volenterosi" accanto alle forze ucraine; e il settore a est del fiume Dnipro presidiato solo dai militari di Kiev. Nel mezzo, una zona smilitarizzata farebbe da cuscinetto tra la parte ucraina e quella russa, proprio come in Corea.
In alternativa. il Times ha fatto emergere in questi giorni un meccanismo analogo a quello che grava sulla Cisgiordania palestinese, sottoposta a occupazione da Israele da 58 anni, fin dalla guerra dei Sei Giorni del 1967, seppure senza riconoscimento da parte della comunità internazionale. Un esempio che, secondo un fonte vicina al Consiglio di sicurezza nazionale di Washington, i negoziatori russi e americani hanno discusso concretamente negli ultimi colloqui a Mosca di Steve Witkoff, plenipotenziario di Trump.
L'obiettivo USA sarebbe quello di aggirare il divieto imposto a Zelensky, o a chiunque gli dovesse succedere, dalla Costituzione ucraina di cedere de iure territori del Paese senza il placet di un referendum condotto fra l'intera popolazione nazionale. Si tratterebbe di "uno scenario come quello che vede Israele occupare la Cisgiordania, con un governatore e una situazione economica destinati a far capo" a Mosca, non a Kiev. Tale da consentire all'Occidente di dire che quei territori sarebbero "ancora Ucraina", non avendo questa "mai dichiarato la rinuncia alla sovranità". A corredo dei due modelli indicati, si è inoltre discusso in passato dello possibilità di "finlandizzare" l'Ucraina, ossia di renderla neutrale in modo vincolante, come la Finlandia nel dopoguerra. Ma questo sbocco, suggerito a suo tempo da Henry Kissinger, è stato accantonato dagli occidentali dopo l'invasione del 2022: considerata una concessione troppo esplicita alla Russia, che da sempre invoca come cruciale l'esclusione legale di Kiev dall'ingresso nella Nato.