Taibeh: l'antica comunità cristiana palestinese sotto l'assedio dei coloni israeliani

Continua, senza sosta, la violenza dei coloni israeliani nella Cisgiordania occupata ai danni della popolazione palestinese. Già in aumento negli anni precedenti il 7 ottobre, nell'ultimo anno e mezzo l'escalation totale ha duramente toccato anche le comunità cristiane sparse nel territorio sotto assedio. All'inizio di questa settimana, coloni israeliani hanno deliberatamente appiccato il fuoco vicino ai resti di una chiesa del V secolo che si trova a Taibeh, l’unico villaggio palestinese interamente cristiano.
Violenze
Nota anticamente come Efraim (Aphram), Taibeh è il luogo dove Gesù, secondo il Vangelo di Giovanni, trovò riparo dopo la resurrezione di Lazzaro (Gv 11, 54), e dove la comunità cristiana ha radici antichissime. Da tempo, tuttavia, si ritrova a fare i conti, così come molti altri villaggi a maggioranza musulmana in Cisgiordania, con gli attacchi di gruppi di settlers israeliani.
Due settimane fa, secondo quanto riportato da CNN, l'organizzazione israeliana per i diritti B'Tselem ha condiviso un filmato di uomini mascherati che davano fuoco a un'auto parcheggiata a Taibeh. Tre, in totale, le persone ferite nel villaggio dai coloni israeliani, e tre le auto date alle fiamme. Uno dei tanti «incidenti» registrati recentemente, con i coloni spesso impegnati a danneggiare le coltivazioni di ulivo e a impedire l'accesso, agli agricoltori palestinesi, alle proprie terre.
Giorni fa, tuttavia, una banda di coloni si è spinta oltre, appiccando deliberatamente incendi nei pressi del cimitero cristiano bizantino e alla chiesa di Al-Khader, San Giorgio. Vatican News descrive l'edificio religioso, risalente al V secolo, come uno «tra i più antichi e venerati luoghi di culto per i cristiani di Palestina».
L'appello
In seguito all'attacco, si legge sul portale della Santa Sede, i parroci delle tre chiese presenti nel villaggio di Taibeh (chiesa latina, greco-ortodossa e melchita), i padri Bashar Fawadleh, Jack Nobel Abed e Daoud Khoury, hanno «lanciato un appello perché le autorità israeliane impediscano ulteriori violenze dei coloni», avvenute finora «per lo più dinanzi allo sguardo inerte dei soldati israeliani». La parte orientale della cittadina, hanno fatto notare i tre sacerdoti «è diventata un bersaglio aperto per gli avamposti degli insediamenti illegali ebraici che si espandono silenziosamente sotto la protezione dell’esercito israeliano». I sacerdoti, spiega Vatican News, hanno chiesto alla comunità internazionale ed ecclesiastica di inviare missioni sul campo per documentare i danni subiti e il progressivo deterioramento della situazione.
Un problema diffuso
Nella zona di Taibeh, sono tanti i villaggi colpiti dalle azioni dei coloni. Villaggi palestinesi limitrofi agli insediamenti illegali israeliani, come Ein Samia e Kufer Malik, sono recentemente stati presi di mira: case e auto sono state incendiate, mentre quattro giovani palestinese, alla fine dello scorso mese, sono stati uccisi.
Lungo la valle del Giordano a Ein Samia, ricorda la stampa vaticana, i coloni hanno invece attaccato distruggendo l’acquedotto, la sorgente d’acqua che, attraverso un sistema di canali realizzato in epoca romana, ancora oggi rivorniva d’acqua centinaia di migliaia di abitanti palestinesi, fino a Ramallah.
Il problema ha origini antiche. Nel 1977, il governo israeliano ha confiscato decine di ettari di terra nelle vicinanze di Taibeh e ha realizzato un insediamento illegale chiamato Rimonim. Un'operazione durante la quale ampie zone agricole, coltivate dagli agricoltori del villaggio cristiano, sono state sottratte dal governo di Tel Aviv per consentire la realizzazione di strade che collegassero gli insediamenti ebraici tra loro. «Ulteriori centinaia di ettari di terra palestinese rischiano di essere confiscati per estendere gli insediamenti. La preoccupazione principale oggi degli abitanti cristiani di Taibeh-Efraim è che, con gli occhi di tutti puntati sull’immane tragedia di Gaza, le minacce sempre più forti alla permanenza della più antica comunità cristiana al mondo non siano colte nella loro gravità dalla comunità internazionale», evidenzia Vatican News.