L'analisi

«Tra gli scenari possibili, anche un nuovo Iraq»

L'esperto di Medio Oriente Giuseppe Acconcia: «Gli alleati di Teheran nella regione sono fortemente indeboliti e un'escalation potrebbe aprire la strada a un cambio di regime»
©ABEDIN TAHERKENAREH
Francesco Pellegrinelli
22.06.2025 21:00

E ora, che cosa potrebbe accadere? Il bombardamento su larga scala condotto dagli Stati Uniti contro tre siti nucleari strategici iraniani apre uno scenario di incertezza potenzialmente esplosivo. L’intervento diretto di Washington giunge all’undicesimo giorno di una campagna di attacchi senza precedenti da parte di Israele contro infrastrutture chiave del programma atomico iraniano. La domanda cruciale, ora, è come risponderà Teheran. Nei giorni precedenti, l’Iran aveva messo in guardia gli Stati Uniti, minacciando una dura rappresaglia qualora fossero intervenuti direttamente nel conflitto. Le prime dichiarazioni dei Guardiani della Rivoluzione evocano una reazione senza precedenti: «L’Iran ricorrerà a opzioni che vanno oltre le previsioni e i calcoli degli aggressori».

Secondo Giuseppe Acconcia, docente di Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova, l’Iran si trova di fronte a un bivio. La prima opzione – spiega – è quella di una ritorsione che al contempo salvi la faccia al regime senza comportare un allargamento del conflitto. «Possiamo immaginare nuove offensive sulle città israeliane, come quelle avvenute dopo l’attacco USA, e una maggiore pressione militare sul Mar Rosso attraverso il sostegno degli Houthi, loro alleati yemeniti».

Una risposta di facciata si era già vista all’inizio del 2020, in seguito all’uccisione del generale iraniano Qassem Suleimani da parte della prima amministrazione Trump: nonostante la retorica estremamente dura, la reazione dell’Iran si limitò a un attacco missilistico contro alcune basi statunitensi in Iraq, che non causò vittime. «Oggi, le capacità belliche degli alleati regionali sono fortemente compromesse», spiega ancora Acconcia. «Solamente gli Houthi sono in grado di fornire un sostegno al regime di Teheran. Hamas ed Hezbollah sono usciti estremamente indeboliti dai rispettivi scontri con Israele». Anche la Russia - osserva Acconcia - sembra troppo impegnata sul fronte ucraino per fornire un qualsiasi supporto. «Nonostante la condanna molto forte da parte di Mosca e Pechino, i due Paesi non sembrano interessati a intervenire direttamente nel conflitto. E questo nonostante Mosca abbia firmato con l’Iran un trattato di sostegno militare reciproco».

Alzare il livello di scontro

L’altra opzione, invece, è che l’Iran alzi il livello dello scontro, prendendo di mira in modo più aggressivo le basi americane nella regione - in Medio Oriente sono una ventina, dalla Giordania all’Arabia saudita al Qatar e Kuwait - e le navi militari o commerciali di passaggio nel Golfo Persico, un tratto di Oceano Indiano sul quale si affacciano sia l’Iran sia vari Paesi alleati degli Stati Uniti. Le Guardie della Rivoluzione hanno già dichiarato che l’elevato numero di basi statunitensi nella regione renderà difficile per gli USA eludere completamente le rappresaglie della Repubblica islamica. «È plausibile che l’Iran prenda di mira interessi statunitensi nella regione. Non a caso, già il 13 giugno - alla vigilia degli attacchi israeliani - il personale non essenziale era stato evacuato dalle basi americane in Medio Oriente».

Cambio di regime

Tra le possibili conseguenze di un allargamento del conflitto, Acconcia menziona anche l’eventualità di un cambiamento di regime in Iran. «Uno scenario del genere solleva interrogativi complessi», osserva l’esperto. «In caso di transizione politica, sarà il leader supremo Ali Khamenei a essere rimosso? Oppure si assisterà a un ricambio interno, con un passaggio dai conservatori ai riformisti, rappresentati dall’attuale presidente e da una parte dell’establishment?». Un’altra ipotesi, secondo Acconcia, è quella di un ulteriore rafforzamento dei Pasdaran, già oggi una delle forze più potenti all’interno del regime. Il terzo scenario, più radicale, è un cambio di regime completo, che potrebbe portare alla nascita di un governo filo-occidentale, sul modello della monarchia dello Scià, deposta dalla rivoluzione del 1979. Molto, però, dipenderà anche dalla reazione del popolo iraniano di fronte all’evoluzione del conflitto. È possibile che i sostenitori di Khamenei tornino in piazza, come già accaduto dieci anni fa. Allo stesso modo, potrebbero riemergere le proteste legate al movimento “Donna, vita, libertà”, che aveva scosso il Paese di recente». Secondo Acconcia, non va escluso neppure un quarto scenario: un conflitto prolungato e logorante, simile a quanto accaduto in Iraq o in Afghanistan, che costringerebbe gli Stati Uniti a un impegno militare lungo e incerto, senza ottenere un vero cambiamento politico. «Dopo vent’anni di guerra in Afghanistan, i talebani sono tornati al potere», ricorda Acconcia. «Non è detto, quindi, che un successo militare a breve termine per Stati Uniti e Israele si traduca automaticamente in una vittoria strategica duratura». 

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