Gran bretagna

Trovato l’accordo per la Brexit: ma ora va approvato

Il riassunto di quanto sta accadendo sull’asse Londra-Bruxelles dopo l’annuncio di un’intesa tra Boris Johnson e Jean-Claude Juncker
© AP/Francisco Seco
Nicol Degli Innocenti
Nicol Degli Innocenti
17.10.2019 21:22

Accordo fatto tra Londra e Bruxelles. Ieri mattina, poco prima dell’inizio del summit europeo, il premier britannico e la UE hanno annunciato di avere raggiunto un’intesa definitiva su Brexit. Se sarà approvata da Westminster e dal Parlamemento europeo, la Gran Bretagna lascerà la UE il 31 ottobre come previsto. «Abbiamo un grande accordo che ci restituisce il controllo», ha dichiarato il premier britannico. Altrettanto positivo il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che ha definito l’intesa «giusta e equilibrata».

La doccia gelata

L’ottimismo di Londra e Bruxelles è stato poi gelato dal DUP, il partito unionista nordirlandese, che ha fatto sapere in un comunicato di non approvare l’accordo perché «queste proposte minano l’integrità dell’Unione». Il compromesso raggiunto da Johnson prevede infatti che l’Irlanda del Nord resti allineata alla UE in una zona di regolamentazione unica, mentre il resto del Regno Unito (Inghilterra, Galles e Scozia) lascerebbero mercato unico e unione doganale e potranno in futuro avere una politica commerciale indipendente. Il DUP si è sempre opposto a qualsiasi misura che preveda un trattamento diverso per l’Irlanda del Nord perché vuole che resti parte integrante a tutti gli effetti del Regno Unito. Il problema è che Bruxelles, Londra e Dublino hanno concordato che il ritorno a un confine interno irlandese avrebbe violato gli Accordi del Venerdì Santo, che da oltre vent’anni mantengono la pace in Irlanda del Nord. Per evitare controlli alla frontiera, l’Irlanda del Nord deve restare nell’orbita UE. La novità dell’accordo raggiunto ieri è quindi che l’Irlanda del Nord resterà allineata al mercato unico europeo ma farà parte del territorio doganale britannico. Il Parlamento di Belfast potrà approvare l’accordo ogni quattro anni ma a maggioranza semplice, non qualificata, togliendo quindi al DUP, che è un piccolo partito, il diritto di veto che aveva chiesto.

Per la prima volta di sabato

Johnson può dire di avere mantenuto la promessa di eliminare l’odiata «backstop», la polizza di assicurazione mirata a evitare un ritorno al confine interno irlandese che Westminster aveva respinto per tre volte per il timore che fosse un modo per «intrappolare» la Gran Bretagna nella UE a oltranza. Per il resto l’accordo ricalca quello siglato da Theresa May e prevede il pagamento del cosiddetto «conto del divorzio», tutele per i cittadini europei residenti in Gran Bretagna e un periodo di transizione fino al dicembre 2020. A parte, inizieranno le trattative per un accordo commerciale bilaterale definitivo. Johnson ora deve far approvare, domani, l’accordo dal Parlamento. La House of Commons si riunirà per la prima volta di sabato dal 1982, quando l’Argentina aveva invaso le isole Falkland. Il Governo ha bisogno di 320 voti a favore per far passare l’intesa ma non ha la maggioranza in Parlamento e quindi deve contare sul sostegno di deputati di altri partiti anche se tutti i conservatori voteranno a favore. Se il DUP non cambierà idea e voterà contro l’intesa raggiunta con la UE, Johnson avrà bisogno dei voti di almeno una quindicina di «ribelli» laburisti che vogliono evitare a tutti i costi un «no deal». I partiti di opposizione intendono votare contro. Il leader laburista Jeremy Corbyn ha definito il nuovo accordo «anche peggio» dell’intesa della May e sul fronte opposto anche Nigel Farage, leader del Brexit Party, ha bocciato l’accordo, dichiarando che non concede alla Gran Bretagna abbastanza autonomia. Anche gli indipendentisti scozzesi dell’SNP hanno confermato che voteranno contro e che in caso di Brexit intendono procedere con un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia il prossimo anno, con o senza il consenso di Londra.

Cosa prevede il Benn Act

Il Benn Act, una legge approvata dal Parlamento il mese scorso, prevede che se il premier non riesce a far approvare un accordo entro il 19 ottobre - domani appunto -, allora deve richiedere alla UE un rinvio di Brexit di tre mesi, al 31 gennaio 2020. Juncker ieri ha però dichiarato che la UE potrebbe non concedere un rinvio alla Gran Bretagna, costringendo di fatto i deputati a scegliere tra l’accordo raggiunto ieri o un «no deal». Per questo l’opposizione è in tumulto a Westminster. Domani si vivrà quindi una giornata decisiva per il futuro della Gran Bretagna e di Johnson. Se l’accordo sarà approvato, il premier potrà cantare vittoria perché avrà mantenuto la promessa di far uscire la Gran Bretagna dalla UE entro il 31 ottobre.

Oltre tre anni di votazioni e discussioni

Nel 2016

Il 23 giugno, 17,4 milioni di britannici dicono sì all’uscita dall’UE; il 24 David Cameron annuncia le dimissioni, al suo posto Theresa May (dal 13 luglio), con Boris Johnson agli Esteri.

Nel 2017

Il 17 gennaio Theresa May parla di «hard Brexit» e il 29 marzo lancia l’uscita del Regno Unito dall’UE: divorzio previsto nel 2019. La premier convoca elezioni legislative anticipate per l’8 giugno dalle quali il suo partito esce indebolito. L’8 dicembre, l’annuncio di un accordo con Jean-Claude Juncker.

Nel 2018

Il 14 novembre arriva il via libera politico all’intesa da parte del Governo. Il 25 novembre, il sì anche da parte dei Paesi dell’UE.

Nel 2019

Il 15 gennaio, e poi il 12 marzo e il 29 marzo, Westminster boccia il «piano May». Il 24 maggio le dimissioni della premier, effettive dal 7 giugno. Al suo posto viene eletto Johnson, il 24 luglio. Il 28 agosto il nuovo premier sospende il Parlamento, misura giudicata illegale dalla Corte Suprema il 24 settembre. Ieri l’annuncio dell’accordo Johnson-UE.