Il caso

Una donna sale sul patibolo, gli USA di nuovo divisi

A distanza di quasi 70 anni una Corte federale ha stabilito di eseguire la pena capitale per una 52.enne accusata di un brutale omicidio. L’iniezione letale è prevista per domani nel penitenziario di Terre Haute, nello Stato dell’Indiana
Domani una 52.enne condannata per l’omicidio di un bambino sarà giustiziata dopo aver trascorso 13 anni nel braccio della morte. ©AP/Dave Martin
Dario Campione
11.01.2021 06:00

Il lascito politico di Donald Trump è tutto da scrivere. Prima dell’assalto a Capitol Hill molti pensavano a una possibile ricandidatura del tycoon fra quattro anni. Ipotesi che ora potrebbe essere annullata da un impeachment del Congresso. Certo è che sia Joe Biden alla Casa Bianca, sia il partito repubblicano nel Paese e nelle istituzioni dovranno affrontare non poche difficoltà per gestire un’eredità che si annuncia complessa e scomoda.

L’America appare divisa. Lo hanno dimostrato prima le elezioni, poi quanto accaduto a Washington D.C. Nel grande catino a stelle e strisce sembrano esserci sempre di più due Paesi che si fronteggiano disegnando il mondo in bianco o nero. Senza cercare compromessi né, tantomeno, sfumature di grigio.

La pena di morte è uno dei temi su cui la sintesi sembra davvero impossibile. Nel luglio del 2019 The Donald ha ordinato la ripresa delle esecuzioni federali e il 14 luglio dello scorso anno - giorno simbolo, nell’Europa dei diritti - il boia si è rimesso in moto, ponendo fine a una moratoria durata 16 anni.

L’ultimo condannato

L’ultimo condannato a morte dalla giustizia federale era stato Louis Jones, ucciso con una iniezione letale il 13 marzo 2003 a Terre Haute, nello Stato dell’Indiana: «Sebbene il Signore mi abbia castigato, non mi ha consegnato a morte», le sue ultime parole. Il presidente eletto, Joe Biden, nel manifesto elettorale che lo ha portato alla vittoria, ha promesso di eliminare la pena di morte a livello federale. E ha annunciato di voler convincere i singoli Stati a fare altrettanto. Forte anche di un sondaggio Gallup (risalente però al 2019) secondo il quale il 60% degli americani ritiene l’ergastolo senza possibilità di libertà condizionale una punizione più appropriata per l’omicidio rispetto alla pena di morte.

In questo scenario, la Corte d’Appello per il distretto di Washington D.C. ha dato via libera all’esecuzione dell’unica donna in attesa nel braccio della morte di una prigione federale: Lisa Montgomery, 52 anni, condannata alla pena capitale nell’ottobre del 2007 per aver strangolato - tre anni prima - una donna all’ottavo mese di gravidanza e averle praticato un cesareo per sottrarle la bambina (peraltro sopravvissuta all’omicidio della madre). Una storia tragica e violenta, quella dell’amicizia tra Lisa Montgomery e la vittima, Bobbie Jo Stinnett. Una storia che ha riempito le cronache ed è tornata d’attualità negli ultimi mesi, all’annuncio appunto dell’esecuzione.

Sono 29 gli Stati in cui attualmente è in vigore la pena di morte. Negli altri 21 è stata invece abolita o sospesa

Inizialmente Lisa Montgomery sarebbe dovuta finire sul lettino della camera della morte l’8 dicembre scorso, ma i giudici avevano accordato una sospensione perché l’avvocato della donna aveva contratto il coronavirus andando a far visita alla sua assistita nel carcere di Terre Haute. L’iniezione letale era stata quindi spostata dal Dipartimento di giustizia al 12 gennaio, mentre i legali della Montgomery avevano presentato un ulteriore ricorso sostenendo che durante la sospensione della condanna non si potesse stabilire una nuova data.

La Corte aveva in un primo tempo dato loro ragione, bloccando l’ordinanza del direttore della prigione. Ma un collegio di giudici ha poi rivisto la decisione. E il 2 gennaio, pochi giorni fa, è arrivato il via libera definitivo alla sentenza.

Il miglio verde

A metà dello scorso anno i prigionieri nel «miglio verde», l’ultimo tratto che porta i condannati dalla cella alla camera della morte, erano oltre 2.600. A livello federale la pena capitale è stata ripristinata come detto nel 2019 (il 25 luglio) dal ministro della Giustizia William Barr, il quale ha interrotto una moratoria durata 16 anni (e due presidenze: quella di George Bush jr. e quella di Barack Obama). I giudici nominati dalla Casa Bianca possono comminare la punizione estrema soltanto per un numero ristretto di reati: alto tradimento, attentati contro il presidente, omicidi di difficile attribuzione territoriale e crimini collegati al traffico di droga. Lo scorso anno in tutti gli Stati Uniti sono state eseguite 12 sentenze di morte: sette pronunciate da giudici statali (il numero più basso degli ultimi 37 anni) e cinque su ordine del Dipartimento di giustizia, la quota più alta dal 1976, anno in cui la Corte Suprema, con la sentenza Gregg contro lo Stato della Georgia, stabilì che la pena di morte «non è contraria» alla Costituzione americana.

Allora, i nove giudici costituzionali degli Stati Uniti misero pure fine alla breve stagione della moratoria sulle esecuzioni decisa quattro anni prima e restituirono piena dignità giuridica alla pena capitale. Riaprendo di fatto una discussione mai conclusa tra i sostenitori della dottrina law and order (di matrice soprattutto repubblicana) e i fautori di una giustizia anche dura e severa ma nella quale il boia non ha più motivo di esistere.

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