Il summit

Una marea di plastica, «Riciclare non basta»

Si apre oggi a Nairobi, in Kenya, un complesso negoziato a livello internazionale - Nel mirino dei leader mondiali c’è il più importante trattato ambientale dai tempi dell’accordo di Parigi - Sul tavolo della diplomazia ambientale ci sono due bozze con visioni molto diverse del problema
© AP Photo/Ben Curtis
Ferdinando Cotugno
28.02.2022 06:00

Oggi a Nairobi inizia il complesso negoziato per il più importante trattato ambientale dai tempi dell’accordo di Parigi. L’obiettivo di quello firmato nel 2015 da 193 Paesi era rallentare la crisi climatica e l’aumento delle temperature globali, quello che si inizia a costruire in Kenya dovrà occuparsi di un’emergenza ambientale finora impossibile da arginare con soluzioni regionali, autoregolamentazione e buone pratiche di consumo: le 400 milioni di tonnellate di plastica prodotte ogni anno nel mondo. Il concetto chiave è: «Non ne usciremo solo riciclando». Lo ha detto ad AFP Inger Andersen, la direttrice esecutiva di Unep, il programma delle Nazioni Unite che si occupa di ambiente e che coordina il negoziato.

Contaminato ogni ambiente

Due miliardi di persone vivono in Paesi dove non ci sono strutture per un trattamento sostenibile della plastica, che quindi viene bruciata, finisce in discarica, negli ecosistemi e infine - al ritmo di un camion al minuto - negli oceani, dove uccide 100mila animali ogni anno. Solo il 9% viene effettivamente riciclato. Se non verrà messo un freno, il trend attuale porta a raddoppiare la produzione nei prossimi vent’anni.

Già oggi si trovano tracce di plastica in ogni ambiente terrestre: Artico, Antartide, cima dell’Everest, Fossa delle Marianne, i nostri corpi: una ricerca dell’australiana University of Newcastle ha stimato che un essere umano ingerisce in media 5 grammi di plastica ogni settimana. Sono i numeri di una catastrofe che «ha superato la capacità della nostra società di gestirla», come scritto in un rapporto ONU del 2020. Non è solo un problema ambientale: l’ONU stima che l’inquinamento da plastica costi tra i 6 e i 19 miliardi di dollari globalmente, con gli impatti più gravi su turismo e pesca.

Un lungo processo

Un nuovo accordo multilaterale proverà ad arginare questa marea, anche se i tempi saranno lunghi. Quella che si riunisce a Nairobi è la quinta sessione dell’Assemblea ambientale delle Nazioni Unite: tra oggi e il 2 marzo si dovrà costruire la cornice del negoziato, poi potrebbero volerci fino a due anni per arrivare a un risultato condiviso e vincolante. La buona notizia è che Paesi finora ostili a un accordo internazionale sulla plastica, come la Cina (che ne produce il 30%) e gli Stati Uniti (che ha il tasso pro capite di rifiuti in plastica più alto) hanno accettato di sedersi a negoziare per arrivare a una soluzione multilaterale. Anche un’alleanza di grandi aziende utilizzatrici (tra queste ci sono Unilever, Coca Cola, Pepsi, Nestlé, Starbucks) ha invocato pubblicamente un trattato, lo stesso hanno fatto le associazioni internazionali dei produttori. È una novità politica decisiva: nessuno nega più l’urgenza e tutti gli attori sono in linea, quindi un «accordo di Parigi sulla plastica» arriverà. Il dibattito è su quale sarà il tipo di visione a passare.

Le alternative

Sul tavolo della diplomazia ambientale a Nairobi ci sono due bozze con visioni molto diverse del problema. Quella più ambiziosa è stata presentata da Ruanda e Perù, è appoggiata dall’Unione europea e dalle grandi organizzazioni ambientaliste e copre tutto il ciclo di vita del materiale. Quella più conservatrice, proposta dal Giappone, si focalizza invece sul suo fine vita, sui rifiuti e sulla protezione degli oceani. Le due alternative prevedono da un lato una progressiva e vigorosa riduzione della produzione, incluso un bando globale delle plastiche monouso (sul modello di quello in vigore nell’Unione europea), e dall’altro una gestione più efficiente dei rifiuti. Quella più vincolante ridurrebbe la plastica vergine a partire dal 2030 e cambierebbe il volto dell’economia globale, quella più morbida provocherebbe meno scossoni alle catene di approvvigionamento globali ma rischia di essere inefficace contro un disastro ecologico in atto. In entrambi gli scenari, come per la transizione energetica, serviranno ingenti risorse finanziare per aiutare i Paesi più poveri nella riduzione della dipendenza da plastica e del suo impatto. Come storia di successo alla quale ispirarsi, gli ottimisti vanno oltre l’accordo di Parigi - che ha avuto esito e implementazione travagliati - e guardano al Protocollo di Montréal del 1987, che riuscì a imporre regole e limiti rigidi ai produttori di sostanze nocive e a proteggere lo strato di ozono nell’atmosfera. Quel trattato è considerato una storia di successo della diplomazia multilaterale per l’ambiente: servirà lo spirito della lotta al buco nell’ozono per fermare il soffocamento globale da plastica.