Scenari

Una regola d’oro per salvare il pianeta

Per la scrittrice Kim Polman il detto «tratta gli altri come vorresti essere trattato» è la strada dell’economia del futuro - «Ci sono infiniti esempi di aziende che si impegnano per la sostenibilità: misurare il benessere col PIL è riduttivo»
«La società occidentale ha tanti credo contraddittori. La regola d’oro dovrebbe però arrivare sempre per prima», spiega Polman.  (Foto Shutterstock )
Erica Lanzi
23.08.2019 06:00

LUGANO - «Tratta gli altri come vorresti essere trattato tu». Sottinteso, solo così troverai la felicità. La «regola d’oro», non è solo una di quelle verità che si ritrovano attraverso i secoli in tutte le religioni, culture e filosofie del mondo. Se applicata bene, potrebbe svolgere un ruolo decisivo nella trasformazione dell’economia mondiale. Ne è convinta Kim Polman, co-autrice del libro Imaginal Cells e fondatrice della fondazione Reboot the Future. Non si tratta solo di teoria: Kim è moglie di Paul Polman, un manager di alta caratura che, CEO di Unilever per dieci anni, ha provato a mettere in pratica questi principi in una delle maggiori multinazionali al mondo nel campo dell’alimentazione. Kim e Paul Polman saranno ospiti d’onore il prossimo 30 agosto a Lugano, in occasione di un convegno organizzato dalla Franklin Switzerland University. Secondo Kim Polman, se i leader, i consumatori e le istituzioni applicassero la regola d’oro, il mondo passerebbe gradualmente da un’economia lineare ad un’economia circolare. E come, direte voi? Allo stesso modo con cui il bruco si trasforma in farfalla. Chiuso nel suo bozzolo, all’interno del bruco cominciano ad attivarsi delle cellule («imaginal cells») che contengono la struttura della farfalla. Inizialmente queste vengono attaccate dal sistema immunitario del bruco perché «sanno» che lo distruggeranno. Finché ad un certo punto, le imaginal cells cominceranno crescere di numero e a unirsi, fino a formare la farfalla.

Kim Polman, cosa dobbiamo distruggere della vecchia economia per far emergere quella nuova?

«I bruchi sono come la società industriale: consumano e consumano fino a scoppiare. Solo che la Terra non ce la fa più. Siamo diventati in troppi sul pianeta. I bruchi attaccano i nuovi modi di pensare. Ed è questo che dobbiamo combattere. Ogni persona ha una scelta tra l’essere completamente egoista e completamente compassionevole, è verso quest’ultima direzione che dobbiamo guardare».

Però non basta un’idea filosofica per cambiare la struttura dell’animo umano. Siamo capaci di modificare quello che non va nell’economia?

«Non penso. Il fascino del male per qualche motivo è molto più forte di quello del bene. Però tutti possiamo diventare ‘imaginal cells’: lavorare dando l’esempio, ispirare gli altri, fino a diventare più forti insieme. È provato dalle scienze neurologiche che la felicità deriva dal prendersi cura degli altri, oltre che dell’ambiente e degli animali».

Può fare degli esempi di società che implementano la regola d’oro nel business?

«Ce ne sono infiniti, dipende dagli obiettivi. Come assicurarsi che i dipendenti non siano sottopagati; che nella catena di approvvigionamento non ci sia sfruttamento minorile o schiavismo, oppure impegnarsi sul fronte dell’inquinamento ambientale. Ci sono società che devolvono una parte dei profitti in beneficenza o in progetti positivi per il pianeta. Esistono numerosi architetti che lavorano con l’obiettivo della massima sostenibilità ambientale delle abitazioni. La catena retail JCPenny è nata proprio con la regola d’oro, cioè col motto ‘tratta i clienti come vorresti essere trattato’. Per gli investitori ci sono molti fondi che evitano cose come armi e piattaforme di petrolio. Tutti possono fare qualcosa, anche i consumatori e le istituzioni. Bisogna passare da un’economia lineare ad un’economia circolare».

Cioè?

«L’economia circolare è quella che non produce scarto. Invece noi consumiamo troppo e male. Negli Oceani la pesca eccessiva sta completamente distruggendo gli equilibri marini. Compriamo continuamente vestiti di poliestere che ad ogni lavaggio perdono microplastiche, che vengono mangiate dai pesci che peschiamo. Bisogna cambiare il modo in cui produciamo e consumiamo».

Chi ha più potere d’azione tra consumatori, industria e istituzioni?

«Le istituzioni hanno un ruolo importante nell’uniformare il campo da gioco e hanno molto margine di manovra per delle iniziative: in Norvegia ad esempio, da decenni si controlla la crescita delle foreste ripiantando gli alberi che vengono tagliati. Ogni azienda, piccola o grande che sia, può responsabilizzarsi alla sua maniera durante la catena della produzione. Ma anche i consumatori possono fare la differenza. Non dimentichiamo che la sostenibilità può fare risparmiare molto denaro a tutti».

È vero che la sostenibilità è un risparmio o è un business vero e proprio?

«È difficile fare un’affermazione generale. In natura non si spreca nulla, si riutilizza tutto, e così dovremmo fare anche noi. Abbiamo un sacco di tecnologia che può aiutarci. Perché ad esempio invece di schiacciare le auto quando sono vecchie e lasciarle arrugginire da qualche parte, non le si costruisce in modo che siano completamente scomponibili?»

È difficile però mettere in moto circoli virtuosi senza incentivi forti.

«Di incentivi ce ne sono diversi. Le tasse ad esempio sono un argomento molto convincente, basterebbe introdurre imposte alte sui rifiuti e al contempo dei rimborsi per i comportamenti virtuosi. Oppure si possono introdurre in modo sistematico le piattaforme per i materiali in eccesso (in pratica un mercato dove le aziende possono vendere materiali di scarto o la produzione in eccesso, ndr). Si può investire nell’educazione delle aziende e anche dei consumatori. E poi forse bisognerebbe cambiare il modo con cui misuriamo il benessere».

Ci sono molte discussioni sul fatto che il PIL sia uno strumento poco adatto misurare il benessere di oggi. È d’accordo?

«Certo. Da una parte è ovvio che se un’azienda non vende non sopravvive, motivo per cui la gente viene bombardata dalla pubblicità. Dall’altra, il concetto di PIL funziona quando la popolazione cresce. Ma noi dobbiamo smettere di crescere, non ci sono abbastanza risorse per tutti sul pianeta. Invece di misurare il benessere in base a quanto consumiamo, dovremmo chiederci quanto siamo felici. È il principio della regola d’oro. Non risolverà tutti i problemi, ma ha il potenziale di cambiare molto del nostro futuro».