Un'America che impone le sue leggi al mondo

Dopo aver sbandierato il successo militare in Iran, con i bombardamenti sui siti nucleari della Repubblica islamica, e incassato il via libera del Congresso alla legge sulle agevolazioni fiscali ai ricchi e i tagli alla spesa (il cosiddetto “One Big Beautiful Bill Act”), il presidente americano è tornato alla carica sulla questione dazi, controverso cavallo di battaglia di Trump che in questi ultimi mesi ha già prodotto più di uno scossone sui mercati finanziari. Tra le lettere di conferma inviate ieri dal Governo USA a una dozzina di Paesi, relative al trattamento doganale delle loro merci, figurano quelle destinate a Corea del Sud e Giappone, due alleati di peso di Washington nell’Asia orientale. I due Stati sono stati “castigati” con dazi del 25% che, salvo passi indietro dell’ultima ora di Trump, entreranno in vigore in agosto.
Così lo slogan “Make America great again” (rendiamo l’America di nuovo grande) con cui l’attuale inquilino della Casa Bianca ha incantato milioni di americani, si sta sempre più rivelando una minaccia per diversi Stati, compresi quelli del Vecchio continente. In effetti appare sempre più evidente che la “ritrovata grandezza americana” debba in buona parte scaturire da una sorta di sottomissione ai voleri di Washington di buona parte degli altri Paesi del mondo, rei, agli occhi di Trump, di avere una bilancia commerciale in surplus nell’interscambio con gli Stati Uniti.
L’argomento, in realtà, è molto più complesso e le cause degli squilibri negli scambi commerciali tra USA e resto del mondo andrebbero valutati caso per caso: quello che in estrema sintesi si era prefissata di fare l’amministrazione americana nella serie di trattative avviate negli scorsi mesi con diversi Paesi dopo aver lanciato, lo scorso 9 aprile, la “bomba” dei dazi maggiorati a dismisura per tutta una serie di beni esportati verso gli Stati Uniti. Una tattica con cui Washington ha spinto numerosi Stati ad avviare dei negoziati commerciali con gli USA, onde ottenere uno “sconto” sui dazi esagerati annunciati dall’Esecutivo americano.
L’amministrazione Trump tratta quasi sempre in condizioni di forza. Basti pensare che il premier canadese Mark Carney, che in un primo momento aveva opposto una dura resistenza all’arroganza americana nel dettar legge sui dazi, alla fine ha dovuto revocare la tassa votata dal Parlamento canadese sui servizi digitali delle aziende USA del settore, solo per poter ottenere l’avvio dei negoziati con Washington sui dazi.
Anche il nostro Paese, che da anni investe miliardi di dollari negli USA, creando nel grande Paese nordamericano migliaia di posti di lavoro, ha dovuto mettere in campo le sue migliori capacità negoziali per scongiurare un aumento eccessivo dei dazi per le numerose aziende svizzere che esportano verso gli Stati Uniti. E la partita, nel momento in cui scriviamo, non sembra ancora conclusa. Come detto, sono numerosi i Paesi che stanno facendo i conti con il regime protezionistico tariffario senza precedenti messo in piedi da The Donald. L’esito di questa battaglia globale però, non è scontato, anche se il tycoon punta sul peso economico e geopolitico del suo Paese per convincere gli altri Stati a piegarsi al suo volere.
Del resto sono passati già quasi tre mesi da quando Trump ha lanciato la sua crociata sui dazi e finora Washington ha firmato solo due accordi, con il Regno Unito e il Vietnam. Altre intese sono in fase di conclusione, ma nessuno apprezzerà l’atteggiamento da bullo usato dal presidente americano in tale ambito. Il premier nipponico, tanto per fare un esempio, ha disertato l’ultimo vertice NATO e recentemente Tokyo ha pure annullato un incontro con il Pentagono.
Sicuramente The Donald dovrà fare i conti anche con la Cina e i suoi alleati del gruppo Brics, che ormai rappresenta circa il 40% del commercio mondiale. Imporre a buona parte del mondo il proprio volere in ambito commerciale (per non parlare di quello militare nella NATO) non sembra dunque un’impresa facile, neppure per colui che si ritiene il miglior presidente che gli Stati Uniti abbiano mai avuto.