Il reportage

Viaggio lungo il muro anti-migranti che separa l'Ungheria dalla Serbia

Sono trascorsi dieci anni dalla costruzione delle barriere che hanno di fatto fortificato il confine Est dell'Unione europea - Per superarlo, sempre più persone si affidano a organizzazioni criminali di trafficanti di esseri umani - La rotta balcanica nel frattempo è molto meno battuta
Luca Steinmann
04.07.2025 06:00

 «Dieci anni fa gran parte dei migranti che entrava illegalmente in Ungheria attraverso questa rotta viaggiava in modo autonomo. Oggi, invece, si affidano prevalentemente a organizzazioni criminali di trafficanti di essere umani». Mentre parla il colonnello ungherese Levente Baukò cammina costeggiando la parete grigia coperta di filo spinato che segna il confine con la Serbia. Indossa una divisa blu scuro e un cappello militare a punta, lo stesso che portano le altre guardie che con lui pattugliano questa frontiera. Su entrambi i lati il terreno è piatto e disabitato, coperto di boschi e sterminati prati privi di barriere orografiche. Di tanto in tanto qualche mezzo militare delle forze armate di Budapest sfreccia lungo la strada sterrata che costeggia la barriera. «Abbiamo un sistema di telecamere e di droni di osservazione», continua Baukò, «appena individuiamo il tentativo di oltrepassare il muro interveniamo immediatamente per impedirglielo».

Baukò e gli altri agenti definiscono la barriera un «muro temporaneo anti-migranti». La sua costruzione iniziò nel 2015, quando centinaia di migliaia di persone salpavano quotidianamente dalle coste turche per approdare su quelle greche e risalire i Balcani fino alla Serbia, da dove, solcando questi prati, entravano in massa in Ungheria e così nell’Unione europea. Fu l’apice della crisi migratoria. Coniando lo slogan «wir schaffen das» (ce la facciamo) l’allora cancelliera tedesca Angela Merkel diede disposizione di rimuovere i controlli alle frontiere del suo Paese. Chi entrava nella UE poteva raggiungere nell’arco di poche ore la Repubblica federale tedesca e accedere al suo sistema di accoglienza e di welfare. Solo in quell’anno furono oltre un milione i migranti che si stabilirono in Germania.

A differenza della cancelliera il presidente ungherese Orbán reagì alla fiumana in arrivo ordinando di ergere il muro anti-migranti. Numerosi governi dell’Europa occidentale lo attaccarono, accusandolo del mancato rispetto dei diritti umani. Tuttavia, molti di loro cambiarono rapidamente posizione alla luce dei problemi di ordine pubblico e della crescita dei movimenti di destra, anche estrema, alimentati dalle migrazioni. Pochi mesi dopo Merkel volò in Turchia per incontrare il presidente turco Erdogan, negoziando con lui un piano di sei miliardi di euro di finanziamenti europei in cambio di un più efficace contrasto ai flussi migratori che salpavano dalle sue coste. Da allora le critiche nei confronti delle politiche anti-immigrazione di Budapest si sono affievolite. «Era inevitabile che calassero» dice Viktor Marsai, direttore del Migration Research Institute, centro studi finanziato dal governo di Budapest. «Già allora molti politici dell’Europa occidentale che pubblicamente criticavano il contrasto all’immigrazione illegale in forma privata davano ragione a Orbán. L’Ungheria ha fatto ciò che in tanti già allora ritenevano necessario fare, senza avere però il coraggio di dirlo apertamente per paura delle critiche delle ONG, dei media di sinistra e della cosiddetta società civile».

Oltre 174 chilomentri

Nel corso dell’ultimo decennio la barriera anti-migranti è stata costantemente fortificata. Essa si estende oggi lungo tutti i 174 chilometri di confine tra Ungheria e Serbia, è costeggiata da sistemi di allarme e di video sorveglianza e, oltre che dal filo spinato, è coperta da nastri che emettono una leggera scarica elettrica per complicare la scalata di chi si arrampica su di essa. A pochi metri da lei è stato costruito un altro muro parallelo, più basso. Stretta tra le due pareti scorre la polverosa strada sterrata pattugliata da diversi corpi delle forze armate magiare e da alcuni gendarmi austriaci e turchi che li affiancano. Il territorio viene sorvegliato anche da droni di avvistamento ed elicotteri.

Campi profughi vuoti

Röszke è un paese situato lungo il confine. Poche case, pochi abitanti in giro per le sue strade. A breve distanza, adiacente al filo spinato, c’è un omonimo campo profughi, definito «zona di transito» composto da lunghe file di container grigi tutti uguali che oggi sono completamente vuoti. «Qui ospitavamo i migranti che bloccavamo in territorio ungherese dopo che erano riusciti a superare illegalmente le mura», prosegue Baukò. «Li acciuffavamo lungo di esse oppure nei campi a pochi chilometri da qui mentre si spostavano a piedi. Una volta condotti qui potevano fare domanda di protezione internazionale ed erano liberi di andarsene in ogni momento. Però non sul lato ungherese ma solo dalla parte serba. Non era un campo di prigionia». Un parere, questo, non condiviso dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, che nel 2020 ha definito la permanenza dei richiedenti asilo in loco una «detenzione» e ordinato il loro rilascio. Da allora Röszke è stato chiuso, diventando un centro operativo delle forze armate che pattugliano il confine. Invece che essere condotti al suo interno, i migranti intercettati in territorio ungherese vengono rapidamente portati in territorio serbo e consegnati alle locali forze di polizia, che a loro volta li trasferiscono in campi profughi. Dal 2017 al 2024 sono state oltre 400 mila le persone respinte in questo modo.

Poche migliaia in quattro mesi

Rispetto a dieci anni fa i numeri di coloro che tentano di entrare nella UE tramite questa rotta sono decisamente calati. Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, ha registrato nei primi quattro mesi di quest’anno 3.093 attraversamenti illeciti dei confini europei lungo la rotta balcanica, ovvero lungo i confini di Ungheria, Croazia, Romania e Bulgaria. Un numero minimo rispetto alle diverse decine di migliaia di pochi anni fa. Le crescenti difficoltà a entrare illegalmente in Europa legate alla militarizzazione dei confini dell’Unione europea, tra cui quello ungherese, sembrano avere disincentivato le migrazioni individuali o spontanee. Il superamento degli ostacoli richiede ora una buona organizzazione logistica. Per questo stanno fiorendo le organizzazioni criminali di trafficanti che gestiscono lo spostamento clandestino di esseri umani.

Di fianco ai container di Röszke giacciono le carcasse di automobili e mezzi blindati delle forze armate ungheresi. Alcuni sono ammaccati e impolverati, molti hanno i vetri sfondati, distrutti durante gli scontri con i migranti che tentavano di oltrepassare il muro. «Riceviamo costantemente delle segnalazioni di tentativo di superamento del muro» racconta Baukò «quando arriviamo sul luogo ci scontriamo spesso con i migranti che cercano di sfondare». Chi tenta di superare il muro lo fa generalmente scavando delle buche sotterranee, sfondando una parte della parete o forandola con delle cesoie, oppure scavalcandola con delle lunghe scale. «Non si tratta quasi più di casi individuali si tratta invece di persone supportate dalle organizzazioni criminali attrezzate e pronte a scontrarsi fisicamente con noi per farci arretrare ed entrare nella UE. Parecchi nostri uomini sono rimasti feriti, seppur mai in forma grave». La maggior parte di coloro contro cui si scontrano, raccontano gli agenti, sono siriani e afgani, non mancano però nemmeno i turchi e i curdi. Il contrasto all’immigrazione clandestina, concludono, non passa più solo attraverso le barriere fisiche ma anche dalle attività di intelligence contro la criminalità organizzata.