Xi Jinping apre il fronte Taiwan con Donald Trump

Xi Jinping apre il fronte Taiwan con Donald Trump, in una telefonata inaspettata, la prima tra i due presidenti dall'accordo sulla tregua commerciale di fine ottobre. Nel mezzo dell'aspra crisi tra Pechino e Tokyo su Taipei, il leader più potente dai tempi di Mao Zedong «ha delineato la posizione di principio della Cina sulla questione di Taiwan» con il tycoon e ha sottolineato che il «ritorno» dell'isola «alla Cina è parte integrante dell'ordine internazionale del dopoguerra».
Con l'uso accorto delle parole, nel resoconto dei colloqui diffuso in serata dalla diplomazia di Pechino, Xi ha ricordato che «Cina e Stati Uniti un tempo hanno combattuto fianco a fianco contro il fascismo e il militarismo (in Giappone, ndr). Considerando quanto sta accadendo, è ancora più importante per noi tutelare insieme la vittoria della Seconda guerra mondiale». Gli Usa, sempre nella lettura mandarina, «comprendono l'importanza della questione di Taiwan per la Cina», avrebbe detto il tycoon, che finora non ha commentato.
Un chiaro riferimento, quello di Xi, allo scontro in atto tra Cina e Sol Levante, nato dai controversi commenti della premier nipponica Sanae Takaichi secondo cui, in una sessione parlamentare del 7 novembre, un ipotetico attacco cinese a Taiwan potrebbe innescare una risposta militare di Tokyo. Il dispiegamento, da ultimo, di missili terra-aria a medio raggio sull'isola nipponica di Yonaguni, a 110 km da Taiwan, è «un deliberato tentativo di creare tensione regionale e provocare uno scontro militare», ha tuonato la portavoce del ministero degli Esteri cinese Mao Ning, parlando di uno «sviluppo estremamente pericoloso» che rischia di provocare «uno scontro militare».
Il ministro della Difesa giapponese Shinjiro Koizumi, al contrario, ha definito le operazioni in corso come capaci di «ridurre effettivamente le possibilità di un attacco armato contro il nostro Paese». La Repubblica popolare, pur non avendola mai controllata, punta a riunificare Taiwan anche con la forza, se necessario: le dichiarazioni di Potsdam e del Cairo costituiscono la base per le sue rivendicazioni legali, malgrado molti governi le considerino solo dichiarazioni d'intenti, non giuridicamente vincolanti.
Pechino «vuole vedere quanto l'amministrazione Trump sarebbe disposta a offrire sostegno concreto al Giappone» e sta anche «cercando di mettere in guardia altre democrazie sulle conseguenze di dichiarazioni simili su Taiwan», ha notato William Yang, senior analyst di CrisisGroup. Non solo: il resoconto di Pechino dei colloqui include un preambolo sul «positivo incontro» Xi-Trump di fine ottobre a Busan, a margine dell'Apec in Corea del Sud, che «ha calibrato la rotta e immesso slancio nel costante progresso delle relazioni» bilaterali. Grazie alla tregua sul commercio, le relazioni si sono stabilizzate e le parti «dovrebbero mantenere questo slancio, aderire alla direzione corretta, mantenere un atteggiamento di uguaglianza, rispetto e reciproco vantaggio».
Insomma, un messaggio quando Washington e Pechino devono ancora stipulare l'accordo sulle terre rare, i minerali essenziali per le produzioni hi-tech di cui la Cina vanta una produzione dell'80% su scala globale. Mentre resta ancora da chiarire la reale posizione di Trump su Taiwan: quello di Xi è un invito a scoprire le carte.