Yemen, la guerra esce dai confini: «I droni cambiano gli equilibri»

Da sette anni in Yemen è in corso una guerra civile che ha devastato il Paese. Negli ultimi giorni, gli scontri militari, fuori e dentro il Paese, si sono intensificati. Gli analisti Gilles Kepel e Matteo Legrenzi spiegano che cosa sta accadendo nella penisola arabica.
1 Dopo sette anni di guerra civile il conflitto è entrato in una nuova fase. Cosa è cambiato? Quali sono gli elementi di novità?
Nelle ultime due settimane le milizie ribelli filoiraniane, gli Huthi, hanno attaccato due volte Abu Dhabi, la capitale degli Emirati. Non accadeva dal 2018. «L’evento scatenante va identificato nella conquista militare della regione yemenita di Shabwa da parte dell’esercito nazionale coadiuvato dalla coalizione internazionale a guida saudita - emiratina», spiega al CdT il professore USI e direttore del Middle East and Mediterranean Chair a Parigi Gilles Kepel: «Alla disfatta militare interna avvenuta circa due settimane fa, gli Huthi hanno risposto attaccando Abu Dhabi, uno dei principali hub commerciali e turistici del Golfo». C’è poi un secondo elemento di novità, osserva Kepel: «Il duplice attacco è avvenuto a 1.200 chilometri di distanza con i droni. Questa tecnologia militare a basso costo ha rivoluzionato i rapporti di forza e di sicurezza nella regione. Uno dei Paesi più poveri al mondo, di fatto, oggi è in grado di minacciare uno dei Paesi più ricchi, avvicinandosi anche a una base militare americana. Un vero cambio di paradigma».

2 Come sono evoluti nel tempo i rapporti di forza tra i due schieramenti, da una parte i ribelli Huthi, sostenuti dall’Iran, dall’altra le forze governative coadiuvate dalla coalizione militare a guida saudita?
L’intervento militare intrapreso dall’Arabia Saudita contro i ribelli Huthi è iniziato nel 2015 con la benedizione delle Nazioni Unite e nel pieno rispetto del diritto internazionale. «Un caso da manuale», osserva Matteo Legrenzi, professore di relazioni internazionali all’Università Cà Foscari di Venezia: «La legittimità dell’operazione, che sarebbe dovuta durare solo pochi mesi, è venuta meno man mano che sono aumentati i bombardamenti e i costi umani. Gli scarsi progressi sul campo hanno fatto il resto e oggi la comunità internazionale ha messo la coalizione sul banco degli imputati». Sul piano internazionale, gli Stati Uniti, sotto l’amministrazione Obama, hanno autorizzato i bombardamenti aerei contro i ribelli che si erano impadroniti della capitale Saana nel 2014. «Trump ha continuato ad appoggiare i sauditi senza sollecitare una soluzione diplomatica». Con Biden questa copertura internazionale, però, è venuta meno. Da subito il nuovo presidente ha dichiarato l’intenzione di mettere fine alla guerra in Yemen e di rilanciare i negoziati con l’Iran sul programma nucleare. «Biden ha quindi tolto gli Huthi dalla lista delle organizzazioni terroristiche e, nel contempo, ha interrotto i rifornimenti di armi alla coalizione», commenta Kepel. Ora però la situazione si è complicata: «Se l’Occidente non arma più la coalizione, il rischio di lasciare agli Huthi il controllo del Paese è grande».
3 Come nasce questa guerra definita «per procura»?
Di fatto, in Yemen, si sta combattendo una guerra tra Iran e i suoi rivali del Golfo, l’Arabia Saudita e gli Emirati. «Dal 2015 il conflitto ha assunto un carattere più marcatamente internazionale», spiega Legrenzi. «L’intervento dell’Arabia Saudita a capo della coalizione con gli Emirati aveva come obiettivo dichiarato di ripristinare il potere del presidente Mansur Hadi riconosciuto dalla comunità internazionale e costretto all’esilio dai ribelli». È altrettanto chiaro che l’offensiva saudita nel contempo voleva mettere in sicurezza i propri confini meridionali, respingendo la minaccia iraniana. Oggi, però, gli Huthi controllano buona parte del Paese, in particolare il confine nord con l’Arabia Saudita. «Potremmo definire i ribelli Huthi come i nuovi Hezbollah yemeniti», spiega Kepel. «In Libano hanno tenuto sotto scacco Israele. In Yemen, gli Huthi funzionano allo stesso modo. A nord portano avanti una guerra per procura contro l’Arabia Saudita. Questa proiezione miliare iraniana ha l’obiettivo di dissuadere ogni attacco saudita contro i siti nucleari iraniani».
4 L’ONU ha più volte sottolineato gli effetti devastanti del conflitto sulla popolazione civile. In silenzio, si sta consumando una delle crisi umanitarie ed economiche più grandi di sempre.
La situazione nel Paese è disastrosa. Secondo Save the Children, l’esacalation ha portato a un aumento del 60% delle vittime civili negli ultimi tre mesi del 2021. «L’ONU da tempo ripete che in Yemen si sta consumando una delle crisi umanitarie ed economiche più gravi di sempre», rimarca Legrenzi. L’80% della popolazione yemenita è malnutrita e sopravvive solo grazie agli aiuti internazionali. «In sette anni il conflitto ha fatto almeno 250 mila vittime», aggiunge Legrenzi. Per il quarto anno consecutivo, il Paese si trova a dover fronteggiare la peggiore crisi umanitaria al mondo ed è sull’orlo della carestia. «Più di 16 milioni di persone soffrono la fame. Il divario profondo tra Yemen e gli altri Stati arabi del Golfo continua ad esacerbarsi contribuendo a un dislivello di prosperità profondo e sempre più difficile da sanare».
5 È possibile immaginare oggi una risoluzione in tempi brevi del conflitto?
La dimensione regionale del conflitto rappresenta un ostacolo alla risoluzione della crisi. «Lo scontro va ormai al di là degli obiettivi nazionali degli Huthi», osserva Kepel. Anche la stessa coalizione ha obiettivi politici distinti che rendono più complicata la risoluzione. «Per gli Emirati, che sono una potenza marittima, il controllo della costa litorale è strategico per il passaggio delle proprie navi verso il canale di Suez. Per i Sauditi, invece, conta maggiormente il presidio delle zone di montagna a nord, dove gli Huthi hanno il controllo», conclude Kepel.
La città degli affari nel mirino dei ribelli
Il primo lancio
Il 17 gennaio gli Huthi colpiscono alcuni depositi petroliferi e una zona vicina all’aeroporto di Abu Dhabi. Il bilancio del primo attacco con droni contro gli Emirati causa tre morti.
Il raid aereo
La risposta della coalizione non si fa attendere. Il 21 gennaio l’alleanza intensifica i raid aerei. Viene preso di mira un carcere nella città di Saada: oltre 80 morti.
La risposta
Il 24 gennaio gli Huthi lanciano due missili e nuovi droni contro Abu Dhabi e minacciano di colpire nuovamente se non cesseranno i raid della coalizione.