Yevgeny Prigozhin si sentiva al sicuro da una vendetta di Mosca?

Volendo riassumere la morte di Prigozhin con un’immagine derivante dai miti greci, allora potremmo parlare di un novello Icaro, che è precipitato per essersi avvicinato troppo al sole, in questo caso il Cremlino e il suo sistema di potere. Ma un signore della guerra, che si è macchiato dei crimini peggiori e uno dei regimi più autoritari nel mondo, forse non meritano tanto. Meglio chiamare la fine di Prigozhin con il suo nome e parlare direttamente di punizione da parte dello Zar ai danni di una persona che era al suo fianco da decenni e che probabilmente era a conoscenza anche di molti segreti. Così tanti da considerarsi al sicuro anche dopo il colpo di mano dello scorso 23 giugno, quando la Wagner, l’esercito di mercenari più numeroso e violento del mondo, che Prigozhin aveva fondato nel 2014, era arrivata a 200 chilometri da Mosca. Per ore mise a nudo tutta la debolezza del regime nel difendere il territorio nazionale. Si ritirò solo grazie alla mediazione del dittatore bielorusso, Aleksandr Lukashenko, e la rassicurazione che la sua milizia non sarebbe stata smembrata e fatta confluire nell’esercito regolare. Putin prima lo accusò di tradimento, per poi perdonarlo pochi giorni dopo. Ma la sua sorte e quella della Wagner erano segnate.
Le prove e le dichiarazioni
La vendetta è un piatto che si consuma freddo, e al Cremlino non si dimenticano mai di nulla. Quindi, due giorni fa, nel pomeriggio, Prigozhin è precipitato con il suo jet privato e con a bordo il suo braccio destro, Dmitry Utkin, vera anima delle operazioni militari della Wagner, e uno dei suoi più stretti collaboratori. Una fine persino troppo banale per quello che, fino a poche ore prima, veniva considerato uno degli uomini più potenti della Russia, uno degli intoccabili. Il problema è che ha finito per crederci anche il diretto interessato. Il velivolo è precipitato sulla regione di Tver, fra Mosca e San Pietroburgo. Secondo alcune fonti, Prigozhin arrivava da alcuni negoziati con il ministero della Difesa per il proseguimento delle operazioni della Wagner in Africa. Proprio la grande influenza nel continente gli aveva messo in testa di essere insostituibile.
Nella tarda mattinata sono arrivate le prove difficilmente confutabili che mancavano fino a quel momento. Sembrava impossibile che la sua parabola si fosse conclusa in un modo così banale, proprio lui, che nella sua vita aveva visto di tutto. Alla fine, Prigozhin rappresenta il prototipo del russo che ha fatto carriera al tempo di Putin, con il doppio cursus honorum: quello da imprenditore e quello da delinquente. E non è certo un’esagerazione affermare che in entrambi si sia impegnato al massimo. Lo chiamavano «il cuoco di Putin», lui - con un macabro umorismo - preferiva essere chiamato «il macellaio». Il business alimentare non lo divertiva tanto come quello delle armi, ed è per questo che nel 2014 ha fondato la Wagner, l’esercito privato più numeroso e pericoloso del mondo, che tanta parte ha avuto nella costruzione della politica estera russa. Più Prigozhin cresceva, più staccava i piedi da terra, certo che, prima o poi li avrebbe messi anche al Cremlino, tanto che, nei mesi precedenti, si era parlato di un suo possibile ingresso in politica. A questo punto, però, si è scontrato con una forza più grande di lui, l’unica che comanda davvero in Russia. Alcuni apparati dei servizi segreti erano preoccupati per i successi della Wagner. Lo stesso Putin, compreso che si trattava anche di una grande macchina da soldi, ha iniziato a pensare di toglierla dalle mani del suo creatore. Gli attacchi di Prigozhin contro il ministero della Difesa e lo Stato Maggiore, vanno inquadrati anche in quest’ottica. Pensava di poterla spuntare in grazia del suo «impero africano».


La reazione del leader del Cremlino alla notizia della morte di quello che era, fino a pochi mesi fa, un suo importante alleato era attesissima. È giunta nel tardo pomeriggio di ieri, sottoforma di condoglianze, espresse nei confronti di tutte le vittime dello schianto aereo. Un omaggio dovuto, dal suo punto di vista, al «contributo dei combattenti della Wagner contro il neonazismo» in Ucraina. Sullo stesso Prigozhin, si è spinto oltre: «Ha commesso alcuni seri errori nella sua vita, ma ha anche raggiunto i necessari risultati, per sé stesso e per la causa comune, come è stato nei mesi recenti». Ha definito il comandante della Wagner «un uomo dal destino difficile ma di talento» e ha pure garantito un’inchiesta esaustiva sull’accaduto. Il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha dal canto suo sottolineato: «Concentriamoci sui fatti e non su ciò che dicono i media occidentali».
Gli interrogativi
I grandi interrogativi ora sono sostanzialmente due. Il primo è come la morte del signore della guerra influirà nel conflitto ucraino. La seconda è come cambieranno gli equilibri interni russi. Riguardo al primo aspetto, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha commentato che la dipartita di Prigozhin potrebbe non essere un male. E ha ragione. L’ex cuoco di Putin voleva azioni ancora più violente contro Kiev e con i suoi video fomentava anche tutta la parte della destra russa più ultranazionalista, che adesso ha perso un leader di riferimento.
Sugli equilibri interni russi, gli esperti sono divisi. C’è chi ritiene che l’omicidio plateale di Prigozhin sia servito a Putin per ricompattare il potere e mandare a tutti gli eventuali outsider un messaggio molto chiaro, e chi crede che sia in atto un processo di transizione dei poteri interno al Cremlino. Con un presidente di facciata e, dietro di lui, correnti dei servizi segreti, manovrate dallo stesso Putin per lungo tempo e che adesso stanno approfittando della guerra in Ucraina per avere la meglio. Per lo Zar, adesso, è ancora più importante fare in modo che la controffensiva di Kiev non sfondi. Nel 2024 si vota: fino a quel momento deve evitare ogni errore che possa dare vita a congiure di palazzo, e un risultato deludente sul campo di battaglia sarebbe un’arma perfetta per spodestarlo.