Morire di fame a Gaza: «Ci nutriamo di mangime e resti di cibo lasciati dai topi»

La Corte internazionale di giustizia dell’Aia (CIG) «è preoccupata per la perdita di vite umane a Gaza», «vede un rischio di peggioramento della situazione» e la necessità di «adottare misure per migliorare la situazione umanitaria». È passato un mese da quando la Corte si è espressa nell’ambito della causa presentata contro Israele dal Sudafrica. Era il 26 gennaio 2024, ma finora «Israele non ha preso nemmeno le misure minime per conformarvisi». La denuncia arriva da Amnesty International, secondo cui l'ordine di fornire aiuti era una delle sei misure provvisorie ordinate dalla Corte per le quali Israele aveva un mese di tempo per riferire sulla sua conformità. «In questo periodo il Paese ha continuato a non rispettare l'obbligo, in quanto potenza occupante, di garantire il soddisfacimento dei bisogni fondamentali dei palestinesi di Gaza».
E la situazione è sempre più grave. Soprattutto, la popolazione «è a rischio di genocidio e sull'orlo della carestia». Inoltre, «non sono riusciti a rimuovere le restrizioni all'ingresso di beni salvavita, né ad aprire ulteriori punti di accesso e valichi per gli aiuti, né a mettere in atto un sistema efficace per proteggere gli operatori umanitari dagli attacchi». L'entità e la gravità della catastrofe umanitaria causata «dall'incessante bombardamento, dalla distruzione e dal soffocante assedio di Israele» mettono a rischio di danni irreparabili più di due milioni di palestinesi di Gaza, ha spiegato Heba Morayef, direttrice del programma Medio Oriente e Nord Africa di Amnesty International.
Stando ai dati raccolti da Amnesty, dopo la sentenza del Tribunale internazionale dell'Aia il numero di camion che entrano a Gaza è diminuito di circa un terzo, passando da una media di 146 al giorno nelle tre settimane precedenti a una media di 105 al giorno nelle tre successive. Prima del 7 ottobre, in media circa 500 camion entravano a Gaza ogni giorno, trasportando aiuti e beni commerciali, tra cui cibo, acqua, foraggio per animali, forniture mediche e carburante. Una quantità «già di gran lunga insufficiente a soddisfare i bisogni della popolazione». Anche gli unici valichi che Israele ha permesso di aprire sono stati aperti per un numero minore di giorni. Gli operatori umanitari hanno riferito di molteplici difficoltà, ma hanno affermato che Israele si rifiuta di prendere misure per migliorare la situazione.
Le famiglie si nutrono con mangime per animali
«Diamo da mangiare ai nostri figli orzo e alimenti per animali, ma ora scarseggia anche il foraggio», ha raccontato ad Amnesty International Hamza, un abitante del nord della Striscia di Gaza la cui moglie Kawthar, il 17 febbraio, ha partorito il loro quarto figlio. «Siamo in sei e riusciamo a malapena a garantirci mezzo pasto al giorno. La mia compagna non ha latte e una donna ci ha dato una piccola quantità del suo, che abbiamo somministrato al neonato con una siringa».
Da giorni vari media internazionali riferiscono che la popolazione di Gaza ricorre a mangimi per animali per sopperire all'assenza di prodotti alimentari. Le testata Middle East Eye, ieri, ha pubblicato l'intervista a un bambino di dieci anni che mangiava focacce prodotte con «mangime per animali» che, ha raccontato, gli causano «mal di pancia e diarrea». Anche il Guardian, citando un report di Human Rights Watch, fa sapere che i camion carichi di aiuti umanitari si sono ridotti del 30%. L'organizzazione accusa Israele di aver bloccato gli aiuti diretti a nord, dove la settimana scorsa il World Food Programme ha dovuto sospendere la consegna di forniture. E la stretta agli aiuti umanitari sarebbe avvenuta in concomitanza con la sentenza della Corte internazionale di giustizia.
Il 19 febbraio, le agenzie umanitarie hanno riferito che la malnutrizione acuta sta aumentando a Gaza e minaccia la vita dei bambini, con il 15,6% dei minori sotto i due anni gravemente malnutriti nel nord di Gaza e il 5% a Rafah, nel sud. La velocità e la gravità del declino dello stato nutrizionale della popolazione in soli tre mesi è «senza precedenti a livello globale».
Fathia, operatrice di sostegno alla salute mentale, ha raccontato ad Amnesty International la difficoltà di far capire alla madre, una 78.enne che ha sviluppato una forma di demenza, perché non hanno abbastanza cibo. «Sono arrivata al punto di desiderare che muoia piuttosto di vederla soffrire perché pensa che la stiamo trascurando».
La gente muore di fame
La fame non può essere usata come arma di guerra a Gaza, scrive Save the Children. «Una nostra operatrice, che si trova attualmente a Rafah, ci ha raccontato che i suoi parenti nel nord di Gaza sono stati spinti a misure disperate per sopravvivere. Il suo nome è Nour e ci riporta una situazione inimmaginabile: “Mio marito mi ha detto che la gente è ricorsa a mangiare cibo per uccelli e animali e foglie di alberi per la disperazione. È stato costretto a cercare resti di cibo. Di recente ha trovato dei resti in casa di sua sorella che erano già stati rovinati dai topi, ma li ha lavati e li ha mangiati lo stesso perché non c'era letteralmente nient'altro da mangiare. Ha detto che non morirà per le bombe, ma per la scarsità di cibo”. La fame sta lasciando morire lentamente bambini e famiglie. Impedire che aiuti alimentari sufficienti raggiungano la popolazione e colpire le infrastrutture per la produzione e la distribuzione di cibo, comprese le aziende agricole, i sistemi idrici, i mulini, i siti di lavorazione e stoccaggio degli alimenti, gli hub e i mezzi per il trasporto di cibo, sono una violazione diretta della Risoluzione 2417 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». L'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA) riferisce che solo 15 dei 97 panifici che operavano a Gaza prima del 7 ottobre sono ancora operativi. Le immagini satellitari mostrano la distruzione di molti porti di pesca, mercati, serre e terreni agricoli.
Un disastro umanitario come quello in corso a Gaza è come «un treno merci in corsa», scrive sul Guardian Alex de Waal, direttore della World peace foundation all’università Tufts (USA): «Anche se il macchinista frena, a causa dello slancio ci vorranno molti chilometri prima che si fermi. I bambini palestinesi a Gaza moriranno, a migliaia, anche se i limiti agli aiuti umanitari fossero eliminati oggi». Morire di fame è un processo: «La carestia può essere il risultato finale, a meno che non ci si fermi in tempo». Alcuni abitanti hanno raccontato alla CNN che nel nord della Striscia le persone «mangiano erba» e bevono acqua contaminata per sopravvivere. De Waal sottolinea che gli esperti non hanno mai visto una «così ampia proporzione di popolazione scendere tanto rapidamente verso la catastrofe». Da quando l’Integrated food security phase classification (Ipc, una scala globale per valutare la gravità delle crisi alimentari) è stata adottata vent’anni fa ci sono state gravi emergenze umanitarie in varie parti del mondo: Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Yemen, la regione del Tigrai in Etiopia e il nordest della Nigeria. Ma rispetto a Gaza queste emergenze si sono sviluppate molto più lentamente e hanno riguardato popolazioni più numerose e zone più ampie. Sono morte centinaia di migliaia di persone, anche se in nessun caso è stata dichiarata una carestia.