Nati da due papà: storia di una famiglia diversa

PARADISO - Quando entro nell'appartamento un esserino marrone e scodinzolante non più lungo di venti centimetri mi sguscia tra le gambe. «Questa è Fifi, l'ultima arrivata», spiega Roberto. «Gianmarco arriva subito. È nell'altra stanza, sta facendo il bagnetto ai bambini». Alle mie spalle sento schiamazzi allegri e profumo di bagnoschiuma. Sono le sei di sera, l'ora giusta per le grandi pulizie in tutte le famiglie, qualsiasi cosa si intenda per famiglia. Siamo in un palazzo che si affaccia sul lungolago di Paradiso. Qui abitano due papà e due furetti di cinque anni, che mi si parano davanti in pigiamino bianco, tendono la mano e dicono: «Ciao, sono Filippo», «Ciao, sono Carlotta» (abbiamo modificato i nomi reali per tutelarne la privacy, ma tutto ciò che scriveremo risponde al vero). Per quanto ne sappiamo questa è la prima coppia di omosessuali, in Ticino, che ha avuto figli ricorrendo alla maternità surrogata. Dopo le rapide presentazioni, i due gemellini mi fissano per un attimo e scappano subito di là a ridere, a giocare e a inseguire i loro sogni. I loro padri accettano di raccontarsi al Corriere del Ticino. Mentre il dibattito su adozioni e procreazione nelle coppie gay e lesbiche assume spesso toni infiammati, noi li ascoltiamo sospendendo ogni giudizio. Nei prossimi giorni proporremo commenti e opinioni sul tema. Ma, per cominciare, lasciamo parlare i fatti. In tre tappe: prima, durante e dopo la nascita dei bimbi.
«Siamo una coppia da 23 anni, da 18 viviamo insieme. A sentire impetuoso il desiderio di paternità era soprattutto Gianmarco. Ha sempre vissuto in un mare di parenti e vicini di casa. E io sono stato subito contagiato da questa bellissima idea», spiega Roberto. «Poi, nel 2009, ci siamo sposati. Qui, a Paradiso». Sposati, va detto, nel senso dell'unione domestica registrata, non del matrimonio comunemente inteso. «Esatto», commenta Gianmarco, «e devo dire che dopo averne discusso a lungo fra di noi, pensavamo di adottare un bambino, o in alternativa a un affido. Il fatto è che non è possibile».
Le leggi
Vero: «Chi è vincolato da un'unione domestica registrata non può adottare né valersi di tecniche di procreazione medicalmente assistita», recita infatti l'articolo 28 dell'apposita legge. Quello di avere figli sembrava perciò destinato a rimanere un sogno. Fino a quando «L. e D., due nostri cari amici, non ci hanno parlato di due loro amici di Firenze, che da poco erano diventati papà di due gemelli ricorrendo alla maternità surrogata. Era il 2010».
Andati in Canada in due, erano tornati in Europa in quattro. «Abbiamo capito che, volendo, qualcosa si poteva fare. Abbiamo così raggiunto la coppia già nel weekend per parlare con loro. Avevano avuto due gemelli, come è poi successo anche a noi. Ci si è aperto un mondo nuovo».
I dubbi sulla soluzione canadese
Era il mondo della procreazione artificiale applicata al mondo gay. «La soluzione canadese (che, per la cronaca, è quella scelta da Nichi Vendola e dal suo compagno, ndr) non ci piaceva per varie ragioni. Sostanzialmente perché non era molto trasparente. Allora abbiamo cominciato a contattare gruppi elvetici di gay e di lesbiche per vedere se in Svizzera qualcuno avesse percorso questa strada. Le nostre ricerche in Svizzera, però, non avevano dato frutti. Neppure facendo intervenire i gruppi omosessuali siamo riusciti a trovare una coppia che avesse avuto figli nel nostro Paese. Solo dopo la nascita di Filippo e Carlotta siamo riusciti a scoprire che in Svizzera esistevano già diverse famiglie come la nostra».
Ma il mondo è piccolo e le ricerche di Gianmarco e Roberto ripartono dalla vicina Italia. «Sì. Abbiano conosciuto due ragazzi di Milano che avevano avuto figli andando in California, dove l'organizzazione era molto più chiara rispetto al Canada. L'agenzia che poi si è occupata anche di noi, per esempio, stabilisce che la donna che porta avanti la gravidanza rinunci alla maternità prima ancora di partorire. Inoltre deve essere sposata e deve avere già almeno un figlio».
«E quando saranno adolescenti?»
La chiarezza del sistema californiano, però, non basta a cancellare tutti i dubbi dei nostri interlocutori. «No, davvero. Abbiamo cominciato a porci molte domande su come avrebbe potuto essere e ci siamo presi del tempo per incontrare diverse famiglie omosessuali con bambini. Per esempio ci facevamo un sacco di domande su come si sentono i figli adolescenti delle coppie omosessuali». Scoprendo che, «nei casi che abbiamo conosciuto, per loro era una cosa del tutto naturale. Anzi, la figlia di una coppia di gay ci ha addirittura detto che le sue amiche la invidiavano un po'. 'Sono felice di avere due papà', ci diceva. 'Le mie amiche quando litigano con la loro mamma finiscono a casa nostra per sfogarsi'. Insomma, abbiamo trovato degli adolescenti 'normali' e la cosa ci ha fatto un po' sorridere. Ci ha tranquillizzato».
Quello del modo in cui i figli possano vivere il fatto di essere cresciuti con due genitori dello stesso sesso è un cruccio profondo.
Sotto la lente
«Le famiglie omoparentali - osservano i due papà - sono sotto la lente molto più di quelle eterosessuali. Se per caso un figlio di una coppia gay sarà un bimbo esemplare si dirà che i loro genitori sono stati fortunati. Se invece sarà problematico, la colpa verrà attribuita ai genitori perché omosessuali».
In quel momento arriva di corsa il piccolo Filippo, si impossessa cortesemente di una patatina alla paprika e se ne va felice. Non sa che prima di nascere i suoi due padri si sono posti un milione di domande su come sarebbe stato averlo.
Anche Carlotta si avvicina e chiede di nuovo come mi chiamo. Ride e sparisce dicendo «Carletto». Sono freschi e puliti. Si divertono. Resta da farsi spiegare come sono nati.