«Nazionalizzare per dare un taglio con il passato»

Una fusione forzata, un salvataggio imposto dalla Confederazione che non trova l’entusiasmo di Carlo Lombardini, avvocato ginevrino esperto di diritto bancario e conoscitore della piazza finanziaria svizzera. «È un disastro per gli azionisti del Credit Suisse e capisco la prudenza iniziale di UBS che non vorrebbe essere ‘infettata’ dalla situazione poco chiara in cui versa la seconda banca svizzera», afferma l’avvocato Lombardini che rilancia: «La cosa preoccupante è che nessuno sa bene cosa ci sia nei libri contabili del Credit Suisse». Ma si è sempre detto che Credit Suisse è una banca ben patrimonializzata. «Il problema non è la solidità patrimoniale, ma i rischi economici e giuridici che derivano da una diversa cultura d’impresa tra i due istituti e che spinge l’appetito al rischio un po’ più oltre quello del settore», spiega l’esperto ginevrino che ricorda come Credit Suisse (CS) aveva difficoltà pregresse che sono state aggravate dalla crisi di fiducia. «Se non ci fosse stata questa caduta repentina della sfiducia del mercato, i dirigenti avrebbero avuto non più di due anni per cercare di riportare la nave in rotta. Era solo una questione di tempo, ma i nodi prima o poi sarebbero venuti al pettine».
E la misura della situazione grave in cui versava il CS è data dalla fuga di capitali che negli ultimi due giorni della settimana scorsa avrebbe superato i dieci miliardi di franchi. Una emorragia che avrebbe esaurito in poco più di una settimana la linea di credito da 50 miliardi messa a disposizione dalla Banca nazionale svizzera. «Oltre a questa c’è un’altra realtà. Le altre banche internazionali non le facevano più fiducia e la evitavano come controparte».
Una nazionalizzazione temporanea può quindi permettere di ritrovare stabilità? «È una soluzione che non entra nella tradizione economica svizzera. Secondo me potrebbe essere una soluzione praticabile per dare un taglio con il passato dando continuità all’attività ordinaria. Nel frattempo, si dovranno separare le attività cruciali e redditizie per poi rimetterle sul mercato, avendo il tempo di eliminare le zavorre che l’hanno condotta a quello che è oggi», risponde Lombardini. Anche la garanzia da parte della Confederazione poteva essere una via praticabile. «Ovviamente azzerando il vertice attuale e ripartire con un altro management».
Un altro errore che individua Carlo Lombardini è quello di non avere annunciato una ristrutturazione più profonda quattro mesi fa, magari chiedendo più capitale agli azionisti rispetto a quelli ottenuti. «In fondo è la mancanza di decisioni più severe ad aver portato Credit Suisse a quello che è oggi. È tristissimo perché questo si tradurrà in tagli occupazionali ancora più gravi. Un vero e proprio bagno di sangue». La politica ha reagito adeguatamente? «Non scopriamo nulla di nuovo. Il modo politico svizzero non ha la stessa importanza dei giganti economici e finanziari che si trovano nel nostro paese. Quello che mi infastidisce è che quando c’è un problema, si invocano più regole. Moltiplicare le regole, non ci mette al sicuro dall’incompetenza, purtroppo. Regole, inoltre, che rischiano di trasformare la vigilanza finanziaria in mero controllo giuridico e burocratico», aggiunge ancora Lombardini che chiosa: «Nel caso di Credit Suisse vedo anche una certa arroganza di una parte della classe dirigente zurighese che era già emersa nel fallimento Swissair del 2001 e poi anche nella sparizione dell’assicuratore Winterthur».
