Nel 1997, oggi, nasceva Google

Google compie 25 anni, un quarto di secolo esatto da quel 15 settembre 1997 in cui fu registrato il dominio Google.com. Il successo sarebbe arrivato un anno più tardi, ma l’inizio rimane interessante: non per le celebrazioni, le Big Tech già si autocelebrano di continuo, ma per capire in quale modo questo algoritmo sia arrivato a dominare le nostre vite.
Nome
Perché Google fu chiamato Google? I due fondatori, Larry Page e Sergey Brin, hanno nel tempo fornito versioni diverse, ma quella maggiormente condivisa è basata sulla storpiatura del termine «Googol» (l’1 seguito da 100 zeri), inventato nel 1938 dal matematico Edward Kasner, per spiegare la differenza fra un numero enorme e l’infinito. Il nome Google rappresentava quindi la loro ambizione di costruire un motore di ricerca su larga scala e basato su grandi numeri. Il progetto a cui i due studenti di Stanford lavoravano dal 1996 si chiamava BackRub e l’anno dopo decisero di cambiarlo senza grandi ricerche di marketing, soltanto perché suonava male. Un’intuizione fortunata, perché Google al di là del cambio di nome dell’azienda (dal 2015 Alphabet) è un nome che rimane nella testa anche di chi internet lo frequenta poco. E si è guadagnato l’eternità diventando sinonimo di ricerca sul web, addirittura verbo citato nell’Oxford English Dictionary.

Il terzo uomo
Come in tutte le storie di successo c’è sempre qualcuno che ha perso il treno giusto o, peggio ancora, c’era salito ma è voluto scendere. Il quinto dei Beatles ha avuto meno rimpianti del terzo di Google, che si chiama Scott Hassan ed è il programmatore, anche lui di Stanford, che scrisse gran parte del codice per il motore di ricerca principale di Google. Brin e Page avevano bisogno di lui, non lo fecero certo fuori: fu lui a lasciare quella che nel 1997 non si poteva nemmeno considerare una start-up ma soltanto un’idea di amici che avevano l’ufficio nel proverbiale garage. Si lasciarono comunque bene, al punto che l’anno dopo Hassan comprò qualche azione della neonata Google. Intanto, lavorando da solo, creò eGroups.com, che poi sarebbe stata acquistata da Yahoo e trasformata in Yahoo Groups, dietro pagamento di 432 milioni di dollari. Sommandoli alla plusvalenza fatta rivendendo le azioni Google e dividendo per due, dopo un sanguinoso divorzio che per mesi ha riempito di particolari tipo Totti-Ilary i siti di gossip, si può dire che Hassan abbia adesso un patrimonio di un miliardo di dollari. Circa un centesimo di quello di Brin (91 miliardi) e Page (95). I due ex ragazzi gli hanno rubato l’idea? No: l’intuizione di dare nell’algoritmo originale di Google, il PageRank, importanza massima ai backlink, alle citazioni, fu di Page, e Hassan fu soltanto il tecnico della situazione. È in ogni caso curioso che il brevetto del PageRank, depositato da Page nel 1998, citi un algoritmo, il RankDex, sviluppato da Robin Li due anni prima. Proprio il Robin Li che nel 2000 avrebbe fondato Baidu, a tutti gli effetti il Google cinese.
Lycos e gli altri
Perché Google, per l’esattezza Google Search, che non è stato certo il primo motore di ricerca della storia, è poi diventato quasi monopolista? La risposta è semplice: perché è il migliore, come coerenza delle ricerche con le esigenze di chi digita, spesso in maniera sgrammaticata, parole riguardanti argomenti di suo interesse. Perché prima di Google hanno avuto un successo notevole Lycos, tuttora attivo, AltaVista (poi confluito in Yahoo), Excite (anch’esso di studenti di Stanford) e tanti altri. E tuttora sono in pista motori di ricerca sostenuti da colossi, come Bing (che la Microsoft ha messo al posto del disastroso Windows Live Search), Yahoo, il russo Yandex e Baidu. Prendendo in considerazione il mondo, nell’agosto 2022 il 92% delle ricerche è stato effettuato tramite Google, il 3,3% con Bing, l’1,3% con Yahoo, lo 0,9 con Yandex e lo 0,8 con Baidu. Certo ogni Paese ha le sue caratteristiche, ma quasi ovunque Google è in situazione di sostanziale monopolio. In Svizzera, ad esempio, Google è al 91,1%, davanti a Bing con il 5,2 e DuckDuckGo, anch’essa americana ma non della Silicon Valley, con l’1,4.
Don't be evil
Cosa rimane del leggendario «Don’t be evil», non essere cattivi, coniato nel 2004 dai fondatori per sottolineare l’impegno nel lungo termine e l’onestà, suggerendo nemmeno tanto fra le righe che le altre Big Tech si comportino diversamente? Di sicuro Google-Alphabet gode di una migliore stampa rispetto alla Facebook o alla Microsoft della situazione, anche se le ricerche hanno molti filtri, al di là di quelli a link che rimandano a siti illegali, con violenza, pornografia e altre cose che tutti sono d’accordo nel limitare. Google non censura, ma per la maggior parte delle aziende essere in alto nei risultati di ricerca fa tutta la differenza del mondo. L’algoritmo è stato mille volte modificato e ha anche addomesticato il settore SEO, con aggiornamenti frequentissimi, tali da rendere inutili tante strategie acchiappaclick, e una voluta vaghezza sulle parole chiave che funzionano. E la sua capacità di suggerire desideri e curiosità che nemmeno sapevamo di avere, impressiona oggi ancora più di ieri.