Riscoperte

Nelle sculture di Genucchi tutta la forza della sincerità

Visita guidata (dai figli) nell’atelier riattato a Castro dell’artista bleniese
Una veduta dello studio riattato a Castro. (foto Martinoni)
Simona Ostinelli
18.01.2020 06:00

Dal restauro dell’atelier in valle di Blenio a un nuovo sito internet, a una grande mostra dedicata alla sua persona. Da qui riparte la riscoperta di uno degli artisti più significativi del Novecento ticinese: Giovanni Genucchi. Ma in valle lo ricordano ancora come «Giuanin». Abbiamo incontrato due suoi figli a Castro.

Della Valle di Blenio, della Valle del Sole, sono originari alcuni dei più importanti artisti ticinesi del Novecento. Gualtiero Genoni, pittore e acquerellista, nato in Inghilterra, a Wimbledon, nel 1894 e morto a Semione nel 1992; Ubaldo Monico, pittore e silografo, nato a Dongio nel 1912 e qui scomparso nel 1983; Giovanni Genucchi, scultore, nato a Bruxelles nel 1904 da genitori emigranti e morto ad Acquarossa nel 1979, e il pittore e scultore Flavio Paolucci, nato a Torre nel 1934, il più giovane di tutti e ancora in vita.

L’anniversario

A poco più di quarant’anni dalla scomparsa, è proprio la vicenda umana e artistica di Giovanni Genucchi (sopra in una foto del 1965) a portarci a Castro, dove è possibile visitare il suo atelier, restaurato di recente dalla Fondazione che porta il suo nome e che ha in programma numerose iniziative ideate per preservare e promuovere il patrimonio dell’artista: dal nuovo sito internet (www.ateliergenucchi.ch) a una borsa di ricerca cantonale, fino all’organizzazione di una grande mostra dedicata a Genucchi.

Il senso della polvere

La luce arriva dall’alto e si stende morbida all’interno dell’atelier. Ci vuole un attimo prima di rendersi conto di quanto sia unico questo luogo. La porta di legno, il pavimento, anch’esso, di legno. Il grande lucernario che ha sostituito gran parte del tetto in piode.

Poi il banco di lavoro, gli attrezzi, i bozzetti in gesso e in pietra e i materiali naturali che l’artista raccoglieva durante le sue passeggiate. Ci sono anche le matrici dei calchi, che non son facili da trovare negli atelier degli scultori. Persino la polvere ha un senso in questo luogo. Vien voglia di fare l’appello: «Il Canto»? C’è. «Risveglio»? Anche. «La Madre»? Eccola. «Stupore»”? Non può mancare, e potremmo continuare a lungo.

Sembra che Genucchi se ne sia appena andato, invece sono trascorsi già più di quarant’anni da quell’ottobre del 1979, quando l’artista si spegneva all’Ospedale di Acquarossa. Un ambiente semplice ma carico di energia, che per tre decenni è stato il regno del suo lavoro e del suo pensiero: lo spirito dello scultore di Castro, del «Giuanin», come lo chiamavano, e lo chiamano ancora da queste parti, è intatto. In realtà quello che noi vediamo è il frutto di un’attenta opera di recupero della Fondazione Genucchi, sorta nel 2012 per preservare e valorizzare il patrimonio artistico e culturale dello scultore.

Guide d’eccezione

E se non bastasse l’atelier a tener viva la memoria dell’uomo, prima ancora che dell’artista, vi sono i figli. Nel 1944 si sposa con Osmana Speziali: nascono Silvana (recentemente scomparsa), Giorgio, Carlo (scomparso qualche anno fa) e Giovanni, che si chiama come il padre. In questo mattino di dicembre sono Giorgio e Giovanni a guidarci nell’atelier, insieme a Michele Martinoni, Presidente della Fondazione.

Un uomo severo e curioso

«Nostro padre era un uomo affettuoso, come si poteva essere affettuosi a quei tempi», ricorda Giorgio Genucchi (sopra, con il fratello Giovanni nella foto Martinoni). «Era anche molto severo, e deciso ad inculcarci le sue regole e i suoi principi. A quell’epoca eravamo troppo giovani per capire il valore artistico di nostro padre, lui avrebbe voluto che qualcuno di noi continuasse il suo percorso. Ci chiamava qui in atelier, noi facevamo qualche “paciugada” che lui guardava bonariamente, e tutto finiva lì. In realtà, chi aveva delle doti artistiche era nostra sorella Silvana, che faceva delle decorazioni molto apprezzate da papà, ma che non ha avuto l’opportunità di continuare».

A star vicino a Genucchi nella professione è stato l’ultimo dei suoi figli, Giovanni, che dal padre ha imparato a lavorare la pietra. «Non ho mai creato, ma riprodotto», racconta Giovanni. «Ingrandivo le sue opere partendo dai modelli, seguendo le sue indicazioni. Ci sono ancora tutti i suoi attrezzi di lavoro, compresi i compassi. È sepolto qui a Castro, la “Madonna col bambino” in calcare che c’è sulla sua tomba, l’ho fatta io dopo la sua morte, partendo da un suo modello. Ma questa non è una professione, è un dono, e molte volte essere figli d’arte non è facile. Io avevo vent’anni, e alle fine non ho continuato», conclude Giovanni.

Formidabile capacità manuale

Già, non deve esser facile essere figli d’arte quando davanti si ha uno dei più interessanti scultori ticinesi del Novecento. Genucchi, sostanzialmente autodidatta, una formidabile capacità manuale e un grande interesse intellettuale, ha saputo coniugare l’antico col contemporaneo, la natura con l’uomo, la vita con le sue pulsioni.

Il motore principale della sua arte sembra essere stata la curiosità. Curiosità per la natura, per l’arte del passato, per il quotidiano. Non è un caso se la figura umana è uno dei temi più frequentati.

Genucchi è anche un uomo modesto. Disinteressato al denaro, e quindi anche poco legato all’aspetto commerciale della sua opera. Se nota un interesse, regala le sculture. Oppure le vende a poco. Quando gli consigliano di aumentare i prezzi, fa finta di non sentire. Non che non ne intuisca il valore, semplicemente non è legato al denaro. A volte ha qualche contrasto con Osmana che il bilancio familiare, con quattro figli, lo deve far quadrare. Ma alla fine è lui che la spunta sempre.

L’angelo di 50 franchi

Come quella volta sul Viale Stazione a Bellinzona, quando vede, nella bottega di un antiquario, un piccolo angelo. Costa cinquanta franchi, è tutto quello che la coppia ha in tasca, ma Genucchi ammira la bellezza, e lo compra. Oppure come quell’altra volta, ed è trascorso qualche anno, quando entra in un ristorante nel Canton Grigioni col figlio Giorgio. In un angolo vede un’antica Madonna policroma, è bellissima ma necessita di un restauro. Se la porta a casa, e pazienza se ha investito tutto il denaro che Osmana gli ha dato. Quel “Giuanin, s’peendumal mia”, l’ha presto dimenticato. In realtà il rapporto con la moglie è molto più intenso e profondo di quanto questi piccoli aneddoti possano raccontare. Osmana è la donna che lo ha sposato. Che ha accettato di lasciare Bellinzona per vivere a Castro. Che nonostante le rinunce e i sacrifici, non si lamenta mai. Che gli fa da modella, guarda con attenzione il suo lavoro e gli dà un parere franco sulle sculture. Insomma, cosa volere di più?

Il lavoro in valle

Si parlava di sacrifici e rinunce. La famiglia Genucchi non è povera. In Val di Blenio ha una bella casa con terre e animali. Ma Giovanni ha scelto una strada poco redditizia: la scultura, come si fa? Finché Giovanni e Osmana abitano a Bellinzona, le cose non vanno poi così male. Lui ha lo studio in Via Nocca, e qualche opera la vende, ma nel 1949 torna a Castro, forse per problemi economici, forse perché gli manca la sua valle. Lavora la terra e lavora nell’atelier, una vecchia stalla a pochi metri dalla casa paterna, che viene ristrutturata come spazio di lavoro.

I «sass negru»

«A volte, dopo cena, si metteva disegnare», raccontano i figli. «Improvvisamente si alzava di scatto per andare nello studio, e lavorava fino a mezzanotte o alla una». A dare una mano c’è anche la sorella Elisa, che è insegnante elementare. Una donna pratica, volitiva, che si dedica completamente alla famiglia del fratello e alle sue necessità. Per sbarcare il lunario Genucchi si inventa una professione. Vicino ad Acquarossa, a Scaradra, ci sono degli enormi massi, scesi al tempo dei ghiacciai dal Lucomagno. Li chiama «i sass negru», i sassi neri, e ne conosce le potenzialità.

Con un vecchio compressore a benzina comincia ad estrarre dei blocchi da questi massi, che poi rivende ad un’azienda di graniti di Tenero. Materiale che dev’essere lavorato perfettamente perché é destinato al mercato zurighese, e se si perde anche solo un angolo sono guai, il blocco è da buttare.

In valle lavora con convinzione e piacere, ha tutto quello che gli serve. Innanzitutto la natura, che è generosa di materiali, ricca di spunti, e nutre il suo immaginario. Passeggia fra i monti, lungo i fiumi, nelle campagne. Cerca forme curiose, nuovi immaginari, frontiere da esplorare. Sta fuori di casa delle ore: magari dimentica acqua e cibo, ma la punta e il mazzotto ce li ha sempre con sé. A casa riporta sassi, radici, forme che lo ispirano. E poi la storia della valle: Genucchi non sarebbe stato Genucchi senza il romanico, primo fra tutti il San Carlo di Negrentino.

Il linguaggio della modernità

Ma la componente naturale, unita all’interesse per l’arte antica, è solo un elemento del suo linguaggio. Dopo essersi lasciato alle spalle il naturalismo ottocentesco e l’influenza di movimenti come «Valori plastici», Genucchi mostra di conoscere il linguaggio della modernità, filtrato attraverso le esperienze di Marini, Martini, Arp e Viani.

Coincidenze? Unità di intenti? Nascono intanto alcune delle sue opere più significative: nel 1956 la «Madonna del Lucomagno» e nel 1963 l’Altare della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Brissago.

Un tempo sospeso

«La prima volta che sono entrato nell’atelier è stato come scoprire un tesoro», racconta Michele Martinoni, Presidente della Fondazione Genucchi e docente al Centro Scolastico per le Industrie Artistiche (CSIA) di Lugano. «Conoscevo già l’opera dell’artista, ma senza un vero approfondimento. Qui era rimasto tutto come l’aveva lasciato lo scultore, e perdere questo senso di magia, di tempo sospeso mi sembrava peccato. Così ho contattato i figli e abbiamo pensato di istituire la Fondazione, per tutelare l’opera di Genucchi». Martinoni è un grande estimatore dell’artista, che conosce bene anche da un punto di vista tecnico. Mostra le patine delle sculture, mette a confronto le opere, analizza i dettagli.

La forza della semplicità

«Di Genucchi amo la semplicità della forma, la configurazione essenziale, quel suo modo di lavorare genuino diretto di chi conosce la materia da modellare o scolpire. Il suo è un linguaggio universale e trasversale nel tempo: c’è oggi e ci sarà tra cinquant’anni, perché é sincero alla base. È uno scultore che emoziona e che valica il tempo storico: sono sicuro che anche le generazioni future avranno la capacità di apprezzarlo, leggerlo e capirlo», conclude Michele Martinoni.

Il rilancio

La via per tutelare l’opera di Genucchi è stata negli ultimi anni davvero impegnativa. Nel 2012 è stata istituita la Fondazione. Poi si è svuotato l’atelier, che è stato restaurato dagli architetti Lukas Meyer e Ira Piattini. Al contempo le opere sono state inventariate con un progetto che ha coinvolto due studenti del corso di laurea in conservazione e restauro della Supsi.

Nel 2017 l’atelier è stato inaugurato: oggi è visitabile su richiesta, ma è anche possibile dare un’occhiata dall’esterno, grazie ad alcune feritoie che sono state aperte nell’edificio e che consentono un punto di vista davvero originale. Nel presente e nel futuro vi sono altre novità: innanzitutto l’apertura del sito internet, poi il completamento dell’archivio con le opere esterne alla Fondazione. I proprietari interessati, spiega ancora Martinoni, possono annunciarsi sul sito: l’obiettivo è quello di compilare un catalogo il più completo possibile dell’opera di Genucchi. Questo progetto si incrocerà con la borsa cantonale di ricerca vinta poche settimane fa dalla giovane storica dell’arte Misia Bernasconi, che avrà il compito di riaprire e riaggiornare un discorso critico sull’artista.

Passeggiare sulle sue orme

«Alla fine di questo percorso vorremmo organizzare un’esposizione monografica dedicata a Genucchi; e in attesa che i progetti si concretizzino, potremmo magari pensare a delle passeggiate nella natura, qui in valle, sulle sue orme. Nei luoghi che lui frequentava, per mostrare il suo sguardo sul fiume Brenno, sulle campagne e sui boschi», conclude Martinoni. Insomma, ritornare dove tutto era partito, per dare nuova linfa al lavoro dello scultore.

LA BIOGRAFIA

Nel catalogo che accompagnava la mostra di Giovanni Genucchi (sopra in una foto degli anni Cinquanta) al Museo di Lottigna nel 1983, Virgilio Gilardoni sottolineava l’esiguità dei dati che componevano la biografia di Genucchi. Da allora, oltre allo stesso Gilardoni, si sono occupati dell’artista diversi studiosi, fra i quali citiamo Simone Soldini, Claudio Guarda e Matteo Bianchi. Per tracciare la biografia di Genucchi ci siamo quindi affidati ai siti internet di Villa dei Cedri, del Sikart e al catalogo della mostra bleniese.

Figlio di emigranti, Giovanni Genucchi nasce in un sobborgo a Bruxelles il 10 aprile 1904. A soli due anni viene riportato in Val di Blenio e affidato al nonno materno. Dopo le scuole dell’obbligo, si diletta ad intagliare piccoli lavori in legno. A vent’anni torna a Bruxelles e per una ventina di mesi lavora da un intagliatore perfezionando la conoscenza del mestiere. A causa di una malattia polmonare, nel 1925 deve tornare in Ticino e si stabilisce a Castro, dove apre un laboratorio e lavora come artigiano e scultore. La svolta arriva nel 1937, quando affitta uno spazio in via Nocca a Bellinzona, che diventa il suo studio. Inizia ora un periodo molto fervido per l’artista, che ha la possibilità di confrontarsi con un ambiente intellettualmente vivace. Oltre ad Attilio Balmelli, frequenta Filippo Boldini, Guido ed Aurelio Gonzato, Edmondo Dobrzanski. Nel 1944 sposa Osmana, conosciuta a Bellinzona, che gli darà i figli Silvana, Giorgio, Carlo e Giovanni. In quegli stessi anni arrivano le prime importanti personali a Losanna e a Zurigo ma nel 1949, forse per difficoltà economiche, decide di tornare a Castro nella casa paterna e trasforma una stalla nel suo atelier.

Nel corso della sua vita Giovanni Genucchi partecipa a diverse esposizioni in Ticino e Oltregottardo e realizza sculture per spazi pubblici e privati. In particolare, citiamo La Siesta per la sede della RSI a Comano, e opere di carattere religioso, come La Madonna col Bambino sul passo del Lucomagno, l’Altare nella Chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo di Brissago e il Crocifisso della Casa di riposo Carmelo di Santa Teresa a Brione sopra Minusio. Per i cimiteri di Biasca e Bellinzona ha scolpito diversi monumenti funebri; è possibile che con nuove ricerche il catalogo delle sculture cimiteriali aumenti di numero. Sue opere sono inoltre conservate al Museo Villa dei Cedri a Bellinzona, in un fondo composto da donazioni e dal deposito di alcuni pezzi concesso dai figli dello scultore.

Genucchi si spegne per malattia all’Ospedale di Acquarossa nella notte fra il 3 e il 4 ottobre 1979.