«Nessun cambiamento epocale, è solo un accordo temporaneo»

L’annuncio della possibile intesa tra Cina e Russia su dazi e scambi commerciali ha riproposto la questione che già mesi fa alcuni analisti avevano sottolineato: ovvero che Donald Trump, di fronte a Xi Jinping, sia costretto a cambiare modo di fare le trattative. Essere meno irruente. E più conciliante. Un’affermazione che non trova pienamente d’accordo Matteo Dian, associato di Politiche internazionali dell’Est asiatico all’Università di Bologna.
«In realtà - dice Dian al Corriere del Ticino - la modalità della trattativa di Trump è sempre la stessa. Cambia il fatto che la Cina ha molto potere negoziale: sulla questione delle terre rare e sul commercio bilaterale. Pensiamo all’acquisto di soia, ad esempio, fondamentale per gli agricoltori degli Stati repubblicani dell’interno, una delle basi elettorali di Trump».
Se a questo si aggiunge un antagonista molto meno remissivo degli altri, si comprendono le ragioni che spingono verso l’intesa. «È molto diverso trattare con un avversario in fase di crescita economica, politica, militare che non trovarsi di fronte alleati che hanno bisogno degli Stati Uniti, come Corea del Sud, Giappone o altri Stati del Sudest Asiatico» sottolinea Dian.
Vero è, spiega ancora il docente bolognese, che in ogni caso l’accordo giova a tutti.
«Se c’è una pausa sui dazi, se c’è un minimo di prevedibilità sul fronte economico, tutti ne traggono beneficio. In particolare, gli attori regionali, i quali possono operare investimenti e portare avanti la normale vita economico-commerciale del proprio Paese».
A chi si chiede se questa pausa si tradurrà in un momento di distensione più lungo tra Stati Uniti e Cina, Matteo Dian dice di attendere. «Questo si vedrà con il tempo - risponde - anche se io credo che sia comunque qualcosa di limitato, non di permanente. La competizione tra nazioni rimane aperta su ogni terreno: quello politico e di sicurezza, e quello commerciale e tecnologico. Non siamo cioè di fronte a un cambiamento epocale, quanto piuttosto a un riassestamento. È, insomma, un momento di pausa in una competizione geopolitica più ampia, che caratterizza ormai i rapporti bilaterali in Asia e a livello globale».
Il possibile accordo commerciale è stato letto da qualcuno anche come funzionale a uno scambio di tipo geopolitico: Trump potrebbe chiedere a Xi Jinping di essere aiutato con la Russia per mettere fine alla guerra in Ucraina, mentre Xi Jinping potrebbe chiedere in cambio di avere da Trump qualcosa su Taiwan. Un’eventualità che Dian giudica problematica.
«Attualmente, gli Stati Uniti dicono di non sostenere l’autonomia di Taiwan; i cinesi vorrebbero invece che Washington dichiarasse di opporsi all’autonomia di Taipei. In questo caso - spiega il docente emiliano - le parole sono importanti, così come le definizioni precise. Ed è molto difficile che ciò avvenga. Inoltre, non credo che Xi Jinping voglia veramente aiutare Trump sull’Ucraina, anche perché alla Cina, in parte, fa comodo continuare a creare difficoltà all’Occidente e agli Stati Uniti stessi, che per Kiev mettono in campo molte risorse. Un cambio di direzione su Taiwan resta altamente problematico».
Pure la decisione, presa l’altro giorno dalle autorità di Pechino di bloccare, per il momento, l’acquisto del petrolio via mare dalla Russia rispettando le sanzioni americane, è solo temporanea «Serve a non creare un altro momento di escalation e a vedere che cosa succede nel breve periodo - conclude Dian - Non penso sia un momento di svolta: sembra più la scelta di non aggiungere tensioni a una situazione già di fatto molto instabile sul fronte delle tariffe. Peraltro, in questo momento, Trump non appare capace di ottenere da Xi Jinping concessioni notevoli sul fronte della cooperazione Russia-Cina, che è molto più strutturale».
