Netanyahu nella tormenta: neanche una vittoria lo salverà

«Stavolta l’ha combinata grossa, non sopravviverà politicamente. Mi ha deluso». Ronen è il mio padrone di casa. Ebreo, i cui antenati sono arrivati dall’Iraq, moglie americana, guida una macchina totalmente elettrica, ha fatto fortuna nelle costruzioni. Possiede appartamenti a Gerusalemme, Tel Aviv e altre città. Come molti, gira con una pistola.
È sempre stato un sostenitore di Netanyahu. Nella chat del palazzo e in quella allargata alla strada di Gerusalemme dove vive ha sempre strenuamente difeso «Bibi», e quando non era in carica, criticava i governi del momento facendo campagna per lui all’approssimarsi delle elezioni. «Stavolta è diverso - dice - non credo che lo sosterrò ancora. Per anni è stato l’unico che ci ha difeso, l’uomo del muro, del sistema anti razzo, quello che ha portato stabilità economica e sicurezza. L’unico che ci sembrava potesse rispondere alle nostre preoccupazioni per la sicurezza interna. E invece, quello che è successo il 7 ottobre mi ha fatto crollare tutto. Non me ne vado perché abbiamo lottato per riavere questo Paese: questa terra è nostra, da sempre. È la nostra casa. Ma vederla violata in questo modo è davvero troppo. È triste doverlo ammettere, Netanyahu è il colpevole».
L’idillio tra il più longevo primo ministro nella storia di Israele e il suo popolo sembra oramai definitivamente finito. L’uomo che è stato capace dell’impensabile, di stringere patti con i Paesi arabi, di arrivare addirittura a ipotizzare un accordo con uno dei nemici storici, l’Arabia Saudita, oggi, politicamente parlando, è da considerarsi finito. Lo sa bene, e le sue ultime uscite, come le accuse mosse ai servizi segreti per quanto successo il 7 ottobre, senza assumersi in prima persona alcuna responsabilità (accuse poi ritirate e per le quali si è scusato), rappresentano proprio questo momento di difficoltà.
Un sondaggio del Dialog Center, pubblicato dal Jerusalem Post, ha mostrato come il 94% degli intervistati ritenga che il governo di Netanyahu abbia almeno una parte di responsabilità per l’assenza di adeguate misure di sicurezza che ha portato al massacro del 7 ottobre per mano di Hamas, mentre il 56% degli intervistati ha affermato che il premier dovrebbe dimettersi dopo che la guerra sarà finita.
Il problema strategico
Gli israeliani sono pronti a perdonare tutto, ma non le falle sulla sicurezza. Era successo già a Golda Meir dopo l’attacco a sorpresa in occasione della festa dello Yom Kippur nel 1972. Guerra vinta ma che le costò il premierato. Dopotutto, Benjamin Netanyahu si è sempre presentato come Mister Sicurezza, ha fatto di questo argomento il cardine di tutte le sue campagne elettorali. Eppure, è proprio su questa che Netanyahu pagherà il prezzo più importante della sua carriera politica.
In un Paese che fa della prevenzione il suo credo, con l’Iron Dome, il sistema missilistico e il muro che contiene gli ingressi dalla Cisgiordania, il fatto che oltre mille miliziani entrino indisturbati da Gaza e massacrino quasi 1.500 israeliani di ogni età e se ne portino nella Striscia 230, è davvero inaccettabile per la popolazione.
Non è soltanto un fallimento dell’intelligence, una delle più quotate al mondo e che si è presa le proprie responsabilità, come pure il ministro della Difesa. Ma è anche un problema strategico recente e più vecchio. Il governo Netanyahu è appoggiato da alcuni partiti di estrema destra che hanno nei coloni la loro base elettorale. Un movimento che non vorrebbe alcun arabo in questa terra martoriata e che promuove la costruzione di nuove colonie illegali. Visto che quest’anno era già segnato come uno dei più tragici per il numero di vittime negli scontri con i palestinesi nei territori occupati, a difesa di queste colonie, il ministro della Sicurezza interna, più di un alleato di Netanyahu (anche se spesso una presenza ingombrante) aveva spostato qui diverse truppe. Che poi il 7 ottobre hanno fatto fatica a raggiungere i confini con Gaza, le città e i kibbutzim oggetti del massacro.
Per molti critici, però, il fallimento derivante dall’attacco del 7 ottobre non è dovuto solo a scelte sbagliate recenti, ma anche a errori strategici del premier negli ultimi anni. Soprattutto quando, per delegittimare l’Autorità Nazionale Palestinese (che, a dire il vero, già era in autonomia sulla buona strada per non essere più rappresentativa del proprio popolo), ha in qualche modo potenziato Hamas, cercando di contenere i militanti con un misto di deterrenza militare e incentivi economici.
Neanche la vittoria nella guerra potrà salvarlo. Per lui c’è un’uscita onorevole, se dovesse ammettere di aver sbagliato e se dovesse vincere, annientando Hamas. Vittoria (come la sconfitta, nel caso) che condividerebbe con il suo ex premier a rotazione, ex capo di Stato maggiore Benny Gantz che, dall’opposizione, ha accettato di entrare nel gabinetto di guerra. E già si parla del futuro di Netanyahu, di una sua vita lontano da Israele, con l’ascesa del figlio Yair, che si è fatto conoscere per molti commenti incendiari sui social, come suo possibile successore.