«Non è mai stata preferenza indigena light»

Sta o non sta aiutando a dare la precedenza ai lavoratori indigeni l’obbligo, in vigore dal primo luglio, imposto ai datori di lavoro di segnalare agli uffici regionali di collocamento (URC) i posti di lavoro vacanti per professioni con un tasso di disoccupazione oltre l’8%? Questa la domanda alla quale molti avrebbero voluto avere risposta ieri mattina alla conferenza stampa sui dati della disoccupazione della Segreteria di Stato dell’economia (SECO). Una domanda rimasta senza risposta. In un primo bilancio sulle nuove misure, Boris Zürcher, capo della Direzione del lavoro, ha affermato che queste hanno sì portato a una sensibile crescita dei posti vacanti annunciati (che dall’introduzione del nuovo obbligo si sono più che triplicati rispetto alla media dei tre anni precedenti), ricordando però un concetto importante: «La misura viene chiamata “preferenza indigena light”, ma in realtà dovremmo chiamarla “preferenza hard a chi cerca lavoro”». Un fatto che trova conferma nell’aumento del numero di frontalieri iscrittisi agli URC dalla scorsa estate.
Come deciso dal Parlamento, le misure (che danno ai disoccupati registrati una precedenza di cinque giorni prima che un posto di lavoro sia segnalato pubblicamente) devono sì servire a sfruttare meglio la manodopera indigena, ma senza risultare discriminatorie, come previsto dall’accordo sulla libera circolazione delle persone. Il nuovo obbligo di segnalazione, ricordiamo, è il frutto dell’applicazione dell’iniziativa popolare dell’Unione democratica di centro contro l’immigrazione di massa, che prevedeva di imporre invece contingenti alla manodopera straniera. Il dovere di annuncio agli URC è stato deciso dalle Camere federali dopo lunghe discussioni per applicare l’articolo 121a della Costituzione voluto dall’iniziativa senza però minare i rapporti con l’UE.
Cifre alla mano, dall’introduzione delle nuove norme i frontalieri iscritti agli URC sono aumentati di botto. A novembre erano 233 (sui 119.661 disoccupati totali registrati a fine 2018), mentre in media tra il 2015 e il 2017 il loro numero si aggirava attorno all’ottantina. In Ticino, come indicatoci dal direttore della Divisione dell’economia Stefano Rizzi, a fine dicembre le persone con permesso G erano 30. Una minima parte sui 10.069 iscritti totali. Nel complesso «c’è stato un lieve tendenziale aumento».
Sulle cifre nazionali, pubblicate anche dal «Blick» in dicembre, il presidente dell’UDC Albert Rösti si è espresso parlando di «preferenza straniera». «Non si tratta di dare la precedenza agli autoctoni. In questo senso le misure decise dal Parlamento e in vigore da luglio coinvolgono anche stranieri e frontalieri che si iscrivono a un URC», ha sottolineato da parte sua Zürcher.
In autunno, dopo un anno di applicazione del nuovo obbligo di segnalazione, la SECO intende presentare un’analisi dettagliata in cui verranno anche descritte le esperienze dei singoli cantoni. Da parte sua Zürcher ha però voluto sottolineare che in ogni caso bisognerà tenere a mente che calcolare l’effettivo influsso delle nuove norme sullo stato della disoccupazione in Svizzera, isolando ad esempio i risultati dell’obbligo di segnalazione da quelli della congiuntura e di altri influssi esterni sul mercato del lavoro sarà complicato. Anche la politica dovrà quindi pazientare prima di avere risposte più chiare.
Boom di offerte segnalate
Quello che per ora emerge, secondo la SECO, è che le aziende sembrano aver accettato le nuove norme. A confermarlo sarebbe l’aumento di vacanze segnalate agli URC: dal primo luglio i posti di lavoro annunciati sono stati fra i 25.000 e i 35.000, due o tre volte tanto le cifre registrate precedentemente. Nei settori con una disoccupazione maggiore all’8% (ad esempio la gastronomia o il marketing) gli annunci si sarebbero addirittura sestuplicati (dai 2.939 registrati fra luglio e dicembre del 2017 si è passati a 18.336 segnalazioni). Il profilo delle persone adatte ai posti soggetti all’obbligo di segnalazione risulta il seguente: straniero, di sesso maschile, tra i 25 e i 49 anni, con un livello d’educazione non superiore alle scuole dell’obbligo.
Dal 2020 il tasso minimo di disoccupazione con cui scatta il dovere di notifica passerà al 5%. Nonostante la modifica, per la SECO non è previsto un grande aumento delle professioni coinvolte.
Per le imprese che non stanno alle nuove regole sono previste sanzioni: una mancata segnalazione può costare fino a 40.000 franchi. Per ora alla SECO non sono però noti casi di infrazioni. Su richiesta dei Cantoni il Governo sta pianificando aiuti finanziari per introdurre dei controlli, non previsti dal Parlamento.