L'appuntamento

«Obama a Zurigo è entertainment»

Domani sera l’ex presidente sarà protagonista di una serata speciale all’Hallenstadion di Zurigo – Ne parliamo con Bruno Giussani, direttore europeo delle conferenze TED
© Philip Davali/Ritzau Scanpix via AP
Paolo Galli
28.04.2023 06:00

Zurigo, Amsterdam, Berlino. Tre tappe europee per una tournée da rockstar. E Barack Obama inizierà i suoi show - così vengono definiti dagli organizzatori - proprio dalla Svizzera, domani, ospite dell’Hallenstadion. «An evening with President Barack Obama». Una serata con lui, insomma, che presidente non è più da sei anni, tra chiacchiere, ospiti d’eccezione e performance, con tanto di tappeto rosso per i vip. D’altronde, la società expansion.space, una divisione della tedesca Streetlife International, è abituata a organizzare serate musicali, veri e propri spettacoli. E non nasconde le proprie ambizioni: «Expansion.space è una piattaforma per gli alfa e gli omega, gli illuminati che guidano il cambiamento e muovono le persone». Insomma, Obama sarà protagonista di una serata commerciale o, piuttosto, di una conferenza nella quale guiderà i presenti a chissà quale cambiamento? Ne abbiamo parlato con un ticinese abituato a organizzare grandi conferenze con grandi personaggi, Bruno Giussani, direttore europeo delle conferenze TED.

Sabato a Zurigo arriverà, quindi, Barack Obama. Un evento tra conferenza, ospiti, tappeto rosso, biglietti carissimi. Come leggere questo tipo di incontri?

«Esiste un’industria delle conferenze, dove confluiscono spesso personaggi famosi che si fanno pagare onorari cospicui, fra cui molti politici non più in carica. Non conosco i dettagli, ma conosco il settore e penso che l’ordine di grandezza dell’onorario pagato a Barack Obama per la sua conferenza a Zurigo sia a sei zeri. Ai quali va aggiunta la produzione, la promozione e la sicurezza. Non è sorprendente quindi che i biglietti siano cari. La tradizione degli oratori a pagamento è primariamente anglosassone, ma da almeno un paio di decenni si è andata affermando nel resto del mondo. È un mercato strutturato, dove agiscono “agenti degli speaker” che funzionano un po’ come gli agenti che rappresentano gli sportivi o gli attori. Va anche aggiunto che non vi è nulla di sconveniente nel fatto di “monetizzare” fama, competenze ed esperienze. Spesso, per esempio, sono aziende che ingaggiano per le loro conferenze oratori famosi, per impressionare clienti, partner e impiegati».

Quanto possono davvero influire sulla costruzione di un’opinione collettiva?

«Nel caso specifico dell’intervento di Obama a Zurigo, credo poco. Bisogna considerarlo più che altro un momento di “entertainment”, di spettacolo. Certo, Obama è un pensatore profondo e un politico sperimentato e dirà cose interessanti, ma non bisogna raccontarsi storie: la motivazione principale per acquistare un biglietto è di potersi vantare di essere stati alla conferenza di Obama. Ma è vero che più generalmente grandi nomi hanno un impatto sulla costruzione di opinioni condivise, perché la fama attira attenzione e indirettamente attribuisce credibilità a ciò che dicono».

Anche TED veicola grandi conferenze di grandi personaggi pubblici. Come distinguere un evento commerciale da un evento più urgente, non ordinario?

«Mi permetta anzitutto di dire che a TED non paghiamo onorari. Rimborsiamo le spese. Ma è un meccanismo totalmente diverso. Noi partiamo dall’idea della condivisione di idee e di conoscenze, e anche se chi partecipa alle nostre conferenze paga biglietti cari, quei soldi vanno a finanziare la condivisione gratuita, via una miriade di canali digitali, di quel che è detto alla conferenza. Nel caso del discorso di Obama a Zurigo, non sarà ridiffuso per chi non ci sarà. Il che fa parte della strategia marketing: compra il biglietto o resta escluso».

La società che organizza l’evento in questione si definisce, per l’appunto, «una piattaforma per gli alfa e gli omega, gli illuminati che guidano il cambiamento e muovono le persone».

«È una definizione macchiettistica, e fa parte dello stesso marketing manipolatore, fatta per far sentire chi comprerà il biglietto come membro degli “alfa e omega”, che non vuol dire nulla ma fa bene all’ego, soprattutto in quest’epoca dove l’immagine conta più della sostanza».

Una conferenza - e quindi un personaggio - può davvero ispirare un cambiamento e muovere le persone?

«Sì, se è la persona giusta, con il messaggio giusto, al momento giusto, di fronte alla giusta audience. Pensiamo ai personaggi che nella storia hanno guidato i grandi movimenti sociali, dalle suffragette ai movimenti per i diritti civili, o che hanno condotto nazioni intere verso la libertà o verso la tragedia. O a figure più recenti che hanno ispirato, per esempio, il movimento giovanile contro la crisi climatica. Ma spesso il cambiamento avviene una persona alla volta. Quei momenti in cui un messaggio ci raggiunge e ci fa dire “oh, non avevo mai pensato a questa cosa in questo modo”. Ciò letteralmente riorganizza le nostre connessioni neurali, cambia il modo in cui pensiamo al mondo e lo interpretiamo e quindi il modo in cui agiremo nel mondo».

Lei ha avuto a che fare, per TED, con grandi personaggi, quelli che expansion.space definisce «illuminati». Quali sono le condizioni imprescindibili per far sì che queste persone con una marcia in più, questi opinion leader (usando un’espressione un po’ vintage),  possano illuminare l’audience, ispirando anche, e davvero, un cambiamento?

«Bisogna accordarsi sul significato di “illuminati”. Ho lavorato con gente famosa come Papa Francesco, Bill Gates, il Principe William o Ursula von der Leyen e userei decisamente una parola diversa per loro. La cosa interessante, tuttavia, è che spesso quelle e quelli che ispirano un vero cambiamento non sono famosi: sono invece persone meno note che mettono il dito su fenomeni, meccanismi e questioni importanti in modo nuovo, rispondendo in qualche modo a una sorta di domanda latente - offrendo risposte, insomma, a quei punti interrogativi che ci portiamo tutti dentro. Sono loro gli oratori con più impatto».

Per essere funzionale in una visione più collettiva, una conferenza non deve poter essere in grado di raggiungere più persone possibili? Come si trova un equilibrio tra prezzo del biglietto e accessibilità? La via digitale è essenziale in questo senso?

«Se rimaniamo sull’esempio di Barack Obama a Zurigo, non c’è visione collettiva in gioco, il tema di raggiungere il più persone possibili non si pone neppure: l’obiettivo degli organizzatori è solamente di vendere tutti i biglietti. Se ci sarà un impatto più largo, dipenderà da come la stampa ne parlerà, ed è facile prevedere che ne parlerà positivamente, con toni ammirati, e che qualcuno forse pubblicherà un’intervista “esclusiva” che sarà stata predisposta dagli organizzatori. Se parliamo invece di iniziative come TED - e le molte altre simili; non siamo i soli - dove lo scopo è di diffondere idee e conoscenza il più largamente possibile, evidentemente quell’equilibrio è fondamentale. Nel nostro caso, lo abbiamo trovato facendo pagare molto quel che è scarso (i duemila posti alla nostra conferenza annuale, per esempio) e poi utilizzare quei soldi per distribuire i video delle conferenze nel modo più largo (in molti formati), accessibile (con sottotitoli in decine di lingue) e semplice (gratuito) possibile».

Una famiglia che vale oro

Chi è oggi Barack Obama? L’ex presidente americano, in carica tra il 2009 e il 2017 - un interregno democratico tra i repubblicani Bush junior e Trump -, oggi è di fatto un opinion leader, un punto di riferimento per una certa ala del partito. Si ricordano, nell’ultima corsa alla presidenza, le uscite in appoggio a Joe Biden e le critiche, scontate, allo stesso Trump. Sulla guerra in Ucraina, aveva sorpreso, lo scorso ottobre, sottolineando come l’impegno degli Stati Uniti in sostegno a Kiev non potesse essere «illimitato». Insomma, dichiarazioni discontinue tra tanti impegni commerciali, molte conferenze, podcast, produzioni televisive, libri. L’universo Obama si è fatto privato ma è rimasto altrettanto mediatico, e poi ha portato nelle casse della famiglia nuove e più abbondanti ricchezze.

In molti hanno azzardato qualche conto nelle tasche dell’ex inquilino della Casa Bianca. Negli otto anni passati a Washington - dove ancora oggi vive - aveva guadagnato 400 mila dollari l’anno. E secondo la CNN, a partire da inizio 2017, Barack Obama riceve una pensione federale pari a metà dello stipendio che percepiva da presidente: 200 mila dollari l’anno. Stipendio e pensione di lusso, anche pensando al salario che percepiva da professore a Chicago, surclassato dalla moglie,  Michelle, che da vicepresidente degli ospedali universitari della città già veniva pagata 317 mila dollari l’anno.

Ma questa è tutta musica del passato. E se proprio dobbiamo fare i conti in tasca agli Obama oggi, non possiamo non partire da quei 65 milioni di dollari sborsati dalla casa editrice Penguin Random House per le due autobiografie. Una parte di quella cifra è stata poi investita nella società di produzione Higher Ground, nata con intenti nobili. Ma poi sono giunte nuove entrate, per esempio dal contratto multimilionario firmato con Netflix e Spotify. E poi le conferenze e le serate, proprio come quella di domani a Zurigo. A tre mesi dalla sua partenza dalla Casa Bianca, aveva fatto discutere un incasso da 400.000 dollari per un discorso tenuto a una banca di Wall Street. Le cifre che circolano, per ogni evento, sono su quella linea, insomma. Nulla di nuovo, se pensiamo che i Clinton, nei quindici anni successivi all’addio alla Casa Bianca di Bill avevano incassato (secondo Forbes) 240 milioni di dollari.