Il salvataggio

Obbligazioni a zero, il «metodo svizzero» bocciato dall'Europa

I titolari di titoli della banca denominati Co Co Bonds oppure At1 hanno perso oltre 16 miliardi di franchi – La Finma ha invertito per diritto la gerarchia tra azionisti e obbligazionisti in caso di risoluzione bancaria
© KEYSTONE / MICHAEL BUHOLZER
Generoso Chiaradonna
21.03.2023 21:23

È stato denominato dalla stampa internazionale «il metodo svizzero» e a dispetto del nome non ha nulla di lusinghiero. Il «metodo svizzero» in questione, nel salvataggio repentino di Credit Suisse da parte di UBS ha causato una perdita netta di 16 miliardi di franchi agli obbligazionisti di Credit Suisse. Si tratta in pratica dell’azzeramento del valore delle obbligazioni denominate AT1, sigla che sta per Additional Tier 1, noti anche con il nome di Co Co Bonds (Contingent Convertible Bonds).

Si tratta di obbligazioni subordinate, cioè di prestiti fatti al Credit Suisse remunerati a un determinato tasso di interesse, molto particolari. Pensati per aumentare il cuscinetto di liquidità se i livelli di capitale di una banca scendono al di sotto di una certa soglia, possono essere convertiti in azioni o addirittura - come è accaduto domenica scorsa - azzerati. I possessori di questi strumenti finanziari ormai nulli hanno già annunciato cause collettive.

A muoversi per ora sono alcuni studi legali di New York tra cui Levi & Korsinsky e Bronstein, Gewirtz & Grossman che lunedì hanno notificato agli investitori due iniziative. «La causa per conto degli investitori del Credit Suisse è stata avviata nel Corte Distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto del New Jersey», spiega l’annuncio di Levi & Korsinsky pubblicato da Bloomberg. L’iniziativa è rivolta agli investitori che «hanno comprato o acquisito in diverso modo determinati titoli Credit Suisse (quindi azioni e obbligazioni, ndr) tra il 1° dicembre 2022 e il 17 febbraio 2023». In pratica si sostiene che contrariamente a quanto affermato dal presidente di Credit Suisse Axel Lehmann, la forte fuga di patrimoni da Credit Suisse manifestatasi a ottobre dello scorso anno era continuata anche a dicembre. Di consenguenza i vertici della banca avrebbero sopravvalutato la reale situazione finanziaria e le prospettive della banca. Le dichiarazioni pubbliche della società - stando allo studio Levi & Korsinsky - erano sostanzialmente false e fuorvianti per gli investitori.

Della bontà delle ragioni diqueste cause legali si accerteranno i tribunali. È però la prima volta - almeno in queste dimensioni - che gli obbligazionisti (i creditori, ndr) di una società vengono chiamati a contribuire al capitale prima degli azionisti (i proprietari, ndr). Nel caso di Credit Suisse gli azionisti hanno visto quasi azzerare il valore delle loro azioni, ma almeno tre miliardi di franchi li riceveranno.

In pratica, come sottolineato anche dalle autorità di vigilanza bancaria europee (BCE, SRB ed EBA), nel caso di Credit Suisse è stato sovvertito l’ordine tra azionisti e obbligazioni.

Un fatto che non sarebbe possibile nell’Unione europea, come ha ricordato Andrea Enria, presidente della vigilanza europea della BCE in audizione davanti alla Commissione dell’economia davanti del Parlamento europeo. «In caso di risoluzioni bancarie o di soluzioni di banche in difficoltà ‘‘privatamente orchestrate” verrebbe seguita strettamente la gerarchia dei detentori di titoli, senza invertirla come è successo in Svizzera, dove le obbligazioni AT1 hanno una clausola specifica che consente alle autorità di vigilanza di azzerarne il valore, assente nei contratti in uso nell’Ue», ha affermato Andrea Enria.«Questo ha creato qualche turbolenza: abbiamo chiarito che questo tipo di approccio non è praticabile nel quadro europeo».

«I rischi erano noti»

«I sottoscrittori di queste obbligazioni convertibili erano a conoscenza di questa clausola e delle condizioni applicabili. Erano presenti nel prospetto informativo», ci spiega il professore Henry Peter, docente di diritto societario e finanziario all’Università di Ginevra il quale ricorda che i sottoscrittori di questi strumenti sono solitamente investitori qualificati come i fondi istituzionali o anche, in misura minore, le casse pensioni. «I tassi d’interesse applicati, in questo caso 5,5%, erano molto più elevati rispetto ai tassi ordinari, soprattutto in un periodo degli scorsi anni di tassi bassi se non negativi; questo era noto agli investitori e doveva metterli in guardia», aggiunge il professor Peter. «È ben noto che il rendimento di un titolo di credito è correlato al rischio sottostante», continua l’esperto. Nel caso del Credit Suisse, da anni, non solo negli ultimi mesi, era chiaro che la situazione della banca non fosse esente da rischi. «La curva dei cosiddetti CDS, i Credit Default Swap, strumenti finanziari che fungono da “assicurazione” contro il rischio di fallimento di un debitore, erano sintomaticamente e costantemente saliti da parecchi mesi». «Gli investitori professionali sapevano quindi cosa stavano facendo quando acquistavano Co Co Bond (cioè “obbligazioni convertibili in condizioni di difficoltà della banca”)», aggiunge il docente universitario che è anche avvocato. E per i classici risparmiatori? «Solitamente questi prodotti non sono per la distribuzione retail. Se qualcuno se li ritrova indirettamente in portafoglio è di regola perché sono parte di fondi o di altri strumenti strutturati».

Casse pensioni poco esposte

Ma a quanto ammonta l’esposizione delle casse pensioni svizzere sulle obbligazioni AT1 di Credit Suisse, e in generale su titoli AT1 delle banche? Lo abbiamo chiesto ad Alfredo Fusetti, Partner PPCmetrics e docente di finanza all’Università di Zurigo. «Ovviamente – spiega - non posso rispondere per tutte le casse, ma ritengo si tratti di investimenti quasi trascurabili. Infatti la stragrande maggioranza delle casse effettua investimenti obbligazionari di tipo “classico” e non “Coco”. Con questo intendo obbligazioni quotate di tipo “Investment grade” con un rating quindi fra “AAA” e “BBB”. I titoli AT1, indipendentemente se del Credit Suisse o di altre banche, invece fanno parte di quel segmento obbligazionario ad alto reddito, e quindi ad alto rischio speculativo, che normalmente non fanno parte del portafoglio e di una strategia di una cassa pensione svizzera. Conseguentemente l’esposizione a questi 17 miliardi di titoli AT1 di Credit Suisse delle casse pensioni svizzere è di fatto uguale a zero».

«Tuttavia – aggiunge - potenzialmente ci sono dei casi singoli in cui Casse, hanno effettuato tali investimento con una parte minima del portafoglio con l’obbiettivo di raccogliere potenzialmente dei rendimenti supplementari. Dovrebbero essere casi assolutamente isolati».

Questa informazione viene confermata anche da Mauro Guerra, direttore della Cassa pensione di Lugano. «In generale – rileva - le casse pensioni, ai sensi dell’articolo 53 dell’Ordinanza sulla previdenza professionale, investono in titoli obbligazionari "investment grade", quindi con rating elevato. Altre categorie di obbligazioni, come ad esempio obbligazioni junk bond o subordinate, rientrano negli investimenti alternativi, una categoria limitata dalla legge al 15%. La quota effettivamente investita dalle casse pensioni in questa categoria si attesta attorno al 2% e peraltro si tratta di hedge fund con strategie azionarie. In conclusione, ritengo plausibile escludere la presenza di obbligazioni AT1 nei portafogli delle casse pensioni».

Roberto Giannetti

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