La riflessione

«Oggi non si legge o scrive di meno, ma lo si fa in modo più superficiale»

L'apparizione di nuove forme di fruire l'informazione e la cultura quali podcast e audiolibri impone una riflessione sulla rilevanza nella società odierna degli strumenti tradizionali di diffusione del sapere: ne parliamo con Lorenzo Tomasin, professore ordinario di filologia romanza e storia della lingua italiana all’Università di Losanna
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Mattia Darni
08.11.2023 13:00

In origine fu la radio, poi la televisione, quindi YouTube. Oggi sono i podcast e gli audiolibri: stiamo parlando degli antagonisti della lettura, ovvero di quelle forme di fruizione che dispensano le persone dalla «fatica» e dagli «inconvenienti» del leggere. Negli ultimi anni queste forme hanno incontrato un interesse sempre maggiore: viene perciò spontaneo chiedersi se la lettura tradizionale stia diventando meno rilevante.

«Podcast e audiolibri sono strumenti sostanzialmente diversi nel senso che gli audiolibri sono una specie di vicario della lettura che incontra il favore di coloro che non possono leggere perché, per esempio, sono al volante», esordisce Lorenzo Tomasin, professore ordinario di filologia romanza e storia della lingua italiana all’Università di Losanna e autore del libro L’impronta digitale. Cultura umanistica e tecnologia (ed. Carocci). «In tal senso, gli audiolibri sono i discendenti moderni di una pratica più antica: la lettura in comune. Sono quindi una novità meno forte. Il podcast, invece, sostituendo la lettura con l’ascolto, rappresenta un passo indietro rispetto alla dimensione scritta e letta del discorso ed è perciò una minaccia più importante per le abitudini di scrittura e lettura. Detto ciò, già nel Novecento il sociologo Waletr Ong aveva profetizzato, semplificando il suo discorso, la fine della scrittura, cosa che non si è verificata. Tutte le profezie catastrofiche, pertanto, vanno evitate o quantomeno valutate con molta prudenza. Fatte queste premesse, ciò che si osserva oggi è che hanno preso piede nuovi modi di leggere e di scrivere condizionati dall’uso di strumenti tecnologici. Attualmente non è che si legga o si scriva meno, siamo tuttavia meno abituati a fare delle letture lente, approfondite e lunghe e preferiamo una lettura superficiale, veloce e scorrevole».

Il pericolo maggiore della nostra epoca non è di perdere l’abitudine alla scrittura e alla lettura in sé, bensì di modificarla troppo profondamente e in larga parte negativamente

A favorire il fenomeno, inutile dirlo, hanno contribuito le nuove tecnologie e, in particolare, computer, smartphone e tablet. «Esiste ormai una letteratura piuttosto ampia e sviluppata che dimostra come, ad esempio, la lettura su schermo non sembri consentire lo stesso livello di approfondimento e comprensione del testo della lettura su carta stampata», spiega Lorenzo Tomasin.

Qualcosa di simile vale anche per la scrittura. «È vero che scriviamo ancora molto – si pensi solo alla messaggistica – tuttavia oggigiorno le forme di comunicazione più frequenti si caratterizzano per la rapidità, la brevità e l’essenzialità: sono cioè sintetiche ma superficiali e povere», osserva il nostro interlocutore. «Il pericolo maggiore della nostra epoca non è quindi di perdere l’abitudine alla scrittura e alla lettura in sé, bensì di modificarla troppo profondamente, e in larga parte negativamente».

Una società frenetica

Le tendenze evidenziate, inutile dirlo, sono lo specchio di una società, quella odierna, contraddistinta dalla frenesia, dalla fretta e dalla necessità di svolgere più compiti in contemporanea (il cosiddetto «multitasking»). «L’idea che si debbano fare più cose contemporaneamente è profondamente insita nel nostro mondo di persone iperconnesse», osserva Lorenzo Tomasin. «Tale modo di procedere ha però un prezzo: svolgere più mansioni simultaneamente significa farle meno bene. Superficialità, fretta e imprecisione diventano così nostre compagne di vita».

Nella valutazione dell'impatto che l'intelligenza artificiale avrà sulla nostra società ho l'impressione che si brancoli nel buio

A questo punto una riflessione si impone: è la società che per far fronte alle proprie necessità di multitasking ha portato all’apparizione di determinati strumenti tecnologici o è proprio lo sviluppo di questi ultimi che ha imposto il multitasking alla nostra società? «È un circolo vizioso in cui le due cose si alimentano a vicenda», spiega il nostro interlocutore. «Il fenomeno per il quale i mezzi di produzione tendono a condizionare i modi del lavoro è comunque ben noto ai sociologi del lavoro; i teorici dell’economia parlano per esempio dell’alienazione del capitalismo. Ritengo comunque che l’entusiasmo per le nuove tecnologie e per la ricchezza che esse sembrano portare, per esempio, in termini di multimedialità vada sempre stemperato perché sovente i vantaggi apparenti sono compensati da costi non solo materiali, ma anche culturali. Il rischio è di perdere, di dissipare qualcosa della nostra dotazione culturale. Non vorrei che, guardando solo ai vantaggi, non ci si rendesse conto che, nel frattempo, si è distrutto qualcosa in maniera irreparabile».

Le incognite dell’intelligenza artificiale

Un altro tema in voga oggi è quello delle intelligenze artificiali generative: è perciò importante chiedersi quali sfide portino alla scrittura software come ChatGPT in grado di generare automaticamente dei testi. «Le intelligenze artificiali di tipo generativo sono una tecnologia piuttosto recente e dunque è ancora difficile proporre una valutazione completa dell’impatto che avranno sulla nostra società», osserva Lorenzo Tomasin. «Nei confronti di questa tecnologia siamo ancora impreparati, non sappiamo cosa aspettarci e, a volte, ho l’impressione che si brancoli nel buio. Per ora abbiamo solo coscienza che i nuovi software mettono in discussione dalle fondamenta alcune delle categorie a cui siamo abituati quali l’attendibilità e la veridicità».

Il ruolo della cultura umanistica

Detto delle sfide presenti e future con cui sono confrontate scrittura e lettura, resta da capire quale sia il loro ruolo nella società odierna e nel nostro sistema dei saperi. «Lettura e scrittura restano centrali», sostiene il nostro interlocutore. «A dimostrarlo è quanto accaduto durante la pandemia di coronavirus durante la quale sembrava che tutto dovesse essere messo in discussione, a partire dal modo di trasmissione dei saperi: la storia ha provato che in realtà, terminata l’emergenza sanitaria, quasi tutto è tornato come prima. Lettura e scrittura rimangono imprescindibili nel processo di apprendimento e di costruzione personale dell’identità culturale. Pensare che le nuove tecnologie possano cancellare con un colpo di spugna abitudini, prassi e costumi costruiti lentamente nel corso dei secoli mi sembra illusorio».

La cultura umanistica deve oggi essere una sentinella critica nei confronti della tecnologia

La relazione tra cultura umanistica e cultura tecnologica rimane insomma complessa. «L’uso della tecnologia permea ogni aspetto della nostra vita professionale e privata e dunque inevitabilmente anche la cultura umanistica ne è toccata. Se pensiamo però alla storia dell’uomo, ci rendiamo conto che è sempre stato così: basti pensare a come l’invenzione della stampa abbia influito sulla cultura umanistica. Quest’ultima pertanto, vistane la ricchezza e la profondità storica, deve fungere da elemento positivamente critico: deve cioè favorire un’interpretazione di tipo profondo delle dinamiche che ci circondano. La cultura umanistica, in conclusione, deve essere una sentinella critica nei confronti della tecnologia», chiosa Lorenzo Tomasin.