L'intervista

Oksana Pokalchuk: «Scioccata dalla crudeltà dei soldati russi»

Oksana Pokalchuk, direttrice di Amnesty International Ucraina, dall’inizio dell’invasione russa coordina il lavoro di ricerca sull’impatto del conflitto sulla popolazione civile e sui possibili crimini di guerra
Vira Shcherblyuk
06.07.2022 13:40

Oksana Pokalchuk, direttrice di Amnesty International (A.I.) Ucraina, dall’inizio dell’invasione russa coordina il lavoro di ricerca di A.I. sull’impatto del conflitto sulla popolazione civile e sui possibili crimini di guerra. L’abbiamo intervistata a Lugano dove ha partecipato al summit internazionale.

Qual è la cosa che l’ha scioccata maggiormente nelle ricerche condotte in Ucraina?

«La crudeltà dell’esercito russo, le atrocità delle torture sui civili, di cui le risparmio i detagli. Con le nostre indagini siamo giunti alla conclusione che quei crimini sono stati commessi non perché i soldati russi erano in stato di shock per il timore di essere uccisi. I russi ammazzano e torturano perché ciò gli è permesso, perché i loro comandanti non proibiscono tali atti, o forse li hanno ordinati. Non c’è nessun senso nell’ammazzare così tanti civili. Abbiamo ad esempio indagato sulla strage avvenuta nel teatro di Mariupol dove fuori sul terreno c’èra una grande scritta «Bambini». In due mesi di indagini abbiamo intervistato 28 persone che erano dentro il teatro, abbiamo analizzato diversi video, anche quelli diffusi dai russi, controllato i dati del satellite. Ha collaborato con noi anche un esperto in fisica ed è stato possibile dimostrare che il colpo è partito da un aereo russo. Considerando che i russi avevano i droni e sorvegliavano già quella zona, è escluso che loro non sapessero che all’interno del teatro di Mariupol vi fossero solo civili e nessun ordigno militare. Si è trattato di un attacco premeditato contro i civili. Lo stesso vale per la distruzione del supermercato di Kremenchuk, dove i russi hanno colpito di giorno nell’orario in cui nel supermercato c'era un gran numero di persone. Anche in quel caso i russi avevano i mezzi per sapere che non c’erano militari lì dentro, alla fine hanno colpito di proposito per ammazzare il maggior numero possibile di civili. Abbiamo indagato anche sull’esplosione all’acciaieria di Azov, e le nostre conclusioni smentiscono le voci secondo cui l’esplosione è partita dall’interno. I nostri esperti hanno stabilito che l’acciaieria è stata colpita dall’esterno. Fa specie sentire le menzogne che la propaganda russa usa per negare la responsabilità di Mosca di fronte ai crimini commessi dall’esercito russo. Le decisioni di colpire l’Ucraina vengono prese dal Cremlino, ma ad eseguire le azioni sono i piloti, i militari di cui conosciamo i nomi e i volti. Mi chiedo cosa abbiano in testa i militari russi, come ragionano quando sparano su persone indifese».

Non dobbiamo rispondere al male con il male, perché non siamo uguali a loro

Quali sono le maggiori difficoltà che incontrate nel portare avanti le indagini sui crimini di guerra commessi in Ucraina?

«Non abbiamo l’accesso ai territori occupati dai russi. Raccogliamo le informazioni solo dalle persone che sono scappate dalle località prese di mira da Mosca».

Avete avuto dei morti o dei feriti tra i vostri operatori?

«Per fortuna no. Possiamo contare su una ventina di collaboratori e su vari esperti, come ingegneri e tecnici, che ci aiutano nelle nostre indagini».

Le sembra che il vostro lavoro di ricerca e denuncia abbia un’adeguata eco a livello internazionale?

«I Paesi europei ci capiscono meglio. Purtroppo i Paesi africani, quelli dell’America Latina e l’India sono influenzati dalla propaganda russa. Vi è addirittura chi crede che la guerra in Ucraina sia una guerra tra USA e Russia. In passato questi Paesi sono stati aiutati dall’allora Unione Sovietica e purtroppo ancora oggi erroneamente identificano la Russia con l’Unione Sovietica. Ovviamente per Mosca questa «eredità sovietica» gioca a suo favore, a scapito degli altri quattordici Paesi che costituivano l’URSS».

Non abbiamo nessuna notizia sui prigionieri di Azov, da circa 1 mese non sappiamo nemmeno dove sono e se sono ancora vivi

La comunità internazionale cosa può fare per rispondere alle enormi necessità del popolo ucraino?

«Innanzitutto occorre un impegno internazionale per ottenere giustizia. I giudici delle Corti internazionali devono far vedere cosa è stato commesso in Ucraina da parte dell’esercito russo. All’Ucraina deve essere riconosciuto tutto quello che ha subito nel corso dell’invasione russa. Gli esperti devono indagare sulle atrocità commesse dai russi sui civili ucraini, per capire l’ampiezza del fenomeno e per prevenire che succeda di nuovo in futuro. Le istituzioni giuridiche devono spiegare alle popolazioni di Africa, India e America Latina cosa sta succedendo in Ucraina, e come conseguenza favorire i rapporti di amicizia tra Ucraina e queste popolazioni. Il conflitto che vede coinvolta l’Ucraina è una guerra per i valori, se noi la perdiamo il mondo sarà diverso».

A.I. ha potuto visitare prigionieri di guerra ucraini o russi nel corso di questi mesi?

«Non abbiamo potuto visitare i prigionieri ucraini in Russia. La Russia ha etichettato A.I. come ONG non grata. Nessuna ONG ha accesso alle prigioni dove si trovano i prigionieri ucraini. Non abbiamo nessuna notizia sui prigionieri di Azov, da circa 1 mese non sappiamo nemmeno dove sono. I parenti si sono rivolti alla Croce Rossa per sapere se sono ancora vivi. In Ucraina non abbiamo visitato i prigionieri russi perché non abbiamo avuto nessuna segnalazione di maltrattamenti. Siamo ben disposti a visitarli se qualcuno ci fornirà informazioni su maltrattamenti. Il presidente ucraino  Zelensky ha ribadito più volte che siamo europei e ci comportiamo da persone civili. Quindi i diritti dei prigionieri devono essere rispettati, e non dobbiamo rispondere al male con il male, perché non siamo uguali a loro».

 

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