La guerra in Ucraina

Ombre sul vertice Mosca-Kiev

Il faccia a faccia, proposto da Donald Trump, fra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky non è un obiettivo facile da raggiungere - Per lo zar incontrare un interlocutore sempre delegittimato potrebbe essere un autogol - La situazione economica russa sembra diventare complicata
Una soldata ucraina in una postazione mortaio nella regione di Sumy. ©VITALII NOSACH
Dario Campione
20.08.2025 20:30

Quanto è distante la soluzione politica o militare della crisi ucraina? E a chi conviene continuare in questa durissima guerra di logoramento?

Quando Vladimir Putin, il 21 febbraio di tre anni fa, tentava di spiegare in diretta Tv ai suoi concittadini le ragioni della ormai imminente «operazione militare speciale», aveva certo in mente di arrivare a Kiev in poche ore, sbaragliando le difese ucraine in una sorta di Blitzkrieg.

La realtà è stata molto diversa, così come dimostrano le cartine che pubblichiamo in questa pagina. L’esercito di Mosca ha sì conquistato territorio, ma ha dovuto ripiegare rispetto all’avanzata iniziale. E sacrifica ogni giorno centinaia di uomini per tenere le proprie posizioni.

Non solo. Secondo un reportage pubblicato oggi dalla Reuters e firmato dalla corrispondente da Mosca Darya Korsunskaya, «l’economia russa scricchiola sotto il peso del finanziamento della guerra in Ucraina. Anche se Putin ha respinto le insinuazioni secondo cui il conflitto sta uccidendo l’economia del Paese, il deficit di bilancio si sta ampliando - è arrivato a 4,9 trilioni di rubli - mentre le entrate derivanti dal petrolio e dal gas stanno diminuendo sotto la pressione delle sanzioni occidentali». Il 2025 è «il primo anno in cui la spesa totale per l’istruzione e la sanità a livello federale e regionale sta diminuendo notevolmente in percentuale al PIL», ha detto Sergei Aleksashenko, ex vicegovernatore della Banca centrale russa e ricercatore senior del New Eurasian Strategies Centre di Londra, un think tank fondato da Michail Khodorkovsky, uomo d’affari russo da tempo oppositore del regime di Putin, e diretto dal politologo Vladimir Pastukhov.

«Ampi abissi»

Dopo l’incontro con Putin di venerdì in Alaska, che si è concluso in anticipo senza un accordo, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump «ha detto che “molti punti sono stati concordati” e “pochissimi” sono rimasti inevasi - ha scritto oggi il New York Times - mentre dopo il suo successivo incontro con Volodymyr Zelensky, ha detto che la pace era “a portata di mano”. Ma ha precisato pochi dettagli, e sembrano rimanere ampi abissi».

A tre anni e mezzo dall’inizio della guerra, la Russia controlla un quinto dell’Ucraina. Ha annesso la Crimea, compresa Sebastopoli, nel 2014, anche se a livello internazionale la penisola nel Mar Nero è considerata parte dell’Ucraina; ha annesso illegalmente tutta Luhansk, gran parte di Donetsk e gran parte di Kherson e Zaporizhzhia. Ma l’Ucraina continua a controllare un territorio strategico a Donetsk.

Nel memorandum presentato a giugno, e a cui i vertici russi continuano a rimandare considerandolo l’unica base possibile di discussione, un «parametro chiave» per un accordo finale è il riconoscimento internazionale dell’annessione nella Federazione Russa di tutte e cinque queste regioni. Anche quelle non ancora occupate. Kiev, ovviamente, non ci sta. Zelensky continua a dire, in ogni occasione, che l’Ucraina non cederà territorio sovrano. Scontrandosi non soltanto con il Cremlino, ma anche con la Casa Bianca. Trump ha infatti più volte ripetuto che la pace passa da un «possibile scambio di territorio», dando per scontato che la Russia sia militarmente in vantaggio e impossibile da battere sul campo.

Un cambio totale di prospettiva rispetto all’amministrazione democratica e al predecessore Joe Biden. Una giravolta che gli alleati europei tentano in tutti i modi di attenuare. Non a caso, anche nelle ultime ore la Russia ha tentato nuovamente di mettere gli Stati Uniti e Donald Trump contro l’Europa, l’unico vero ostacolo che Putin trova sul cammino di una soluzione a lui favorevole della crisi. In questo senso, vanno lette le dichiarazioni del ministro degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, riportate oggi dall’agenzia TASS: «La Russia vede solo “tentativi non etici” da parte dell’UE di cambiare la posizione degli USA sull’accordo - ha detto Lavrov - Finora, abbiamo assistito solo a un’escalation piuttosto aggressiva e goffa della situazione e, in generale, a tentativi immorali di cambiare la posizione dell’amministrazione Trump e del presidente degli Stati Uniti in persona, come abbiamo visto durante la scorta europea del signor Zelensky a Washington lunedì di questa settimana».

Gli USA, ha insistito il ministro russo degli Esteri, «hanno una comprensione sempre più chiara delle cause profonde della crisi ucraina». Una dichiarazione che tenta di avallare l’idea che Trump concordi con Putin su alcuni punti chiave della dottrina della sicurezza di Mosca. Ad esempio: il giudizio negativo sull’allargamento a Est della NATO. Una promessa non rispettata che Bill Clinton fece a Mikhail Gorbaciov all’atto dell’unificazione delle due Germanie.

Il punto critico, ha sottolineato sempre oggi il Wall Street Journal, è il vertice auspicato e proposto dalla Casa Bianca tra Putin e Zelensky. Un faccia a faccia che, secondo il quotidiano finanziario conservatore di New York non ci sarà «velocemente» né «facilmente». Il leader del Cremlino ha sempre descritto il presidente ucraino come un «burattino» nelle mani dell’Occidente e ne ha messo in dubbio non solo l’autorità ma persino la legittimità. Negoziare direttamente con Zelensky smentirebbe in maniera clamorosa la sua narrazione e creerebbe inevitabilmente un problema per Putin. Per questo, la richiesta di un incontro - avanzata da Trump - fra i due leader mette lo zar in difficoltà. Se rifiutasse, rischierebbe di irritare Trump, che lo ha già minacciato di sanzioni. Ma sedersi con Zelensky potrebbe danneggiarlo agli occhi dell’opinione pubblica russa e della sua stessa nomenklatura.

Nel frattempo, la riunione dei capi di Stato maggiore della NATO a Washington ha evidenziato «il sostegno» nei confronti della cosiddetta «coalizione dei volenterosi», impegnata a trovare soluzioni che possano garantire la sicurezza dell’Ucraina. E il Regno Unito si è detto pronto a inviare proprie truppe a difesa di cieli e porti ucraini (ma non a combattere in prima linea contro i russi). Segnali che fanno capire a Putin quanto una tregua possa servire in questo frangente anche a Mosca.