Il caso

Paxlovid, oltre mille franchi a scatola: «È vergognoso e va denunciato»

Da ieri il costo del farmaco è quasi decuplicato - Fino al 30 novembre l’antivirale contro il COVID era fatturato 150 franchi - Il farmacista cantonale spiega i motivi e tuona: «C’è un punto che non possiamo più tollerare»
© Reuters
Francesco Pellegrinelli
02.12.2023 06:00

Probabilmente il nome Paxlovid non vi dice nulla. Poco male. Si tratta di un farmaco antivirale contro il COVID-19 prodotto dalla casa farmaceutica Pfizer. Viene utilizzato per le persone che hanno contratto l’infezione e che sono a rischio elevato di decorso grave. Il punto, però, è un altro e ruota attorno al prezzo finale. Sì, perché da ieri, in Svizzera, una confezione anziché costare 150 franchi ne costa 1.110. Un incremento piuttosto significativo, che solleva più di una domanda.

Prima di capire il motivo di questo aumento è utile segnalare che di questi tempi in Ticino vengono prescritte più o meno un centinaio di confezioni a settimana. Il che significa che dal primo dicembre, solamente per questo farmaco, verrà fatturato alle casse malati un importo di 100 mila franchi ogni sette giorni. Soldo più soldo meno. Una somma che poi - è doveroso ricordarlo - viene riversata sulla collettività attraverso i premi. Non si scappa. Il meccanismo è quello. Tornando a noi, a cosa si deve dunque questo aumento? «Fino al 30 novembre il Paxlovid era acquistato direttamente dalla Confederazione e distribuito secondo una procedura straordinaria. Le farmacie e gli ospedali ritiravano il prodotto e fatturavano alle casse malati il costo di 150 franchi, più un piccolo importo per le spese di logistica», spiega il farmacista cantonale Giovan Maria Zanini. Il prezzo pagato dalla Confederazione alla Pfizer per ogni confezione invece non è noto. «Molto probabilmente, fino a ieri, Berna copriva una parte della spesa», aggiunge Zanini. Per il quale dunque non è corretto dire che il costo del farmaco, di punto in bianco, è quasi decuplicato. Entrando nel canale di distribuzione normale, il prodotto ha perso il contributo della Confederazione ed è venuto a costare alle casse malati oltre mille franchi. «Chiaramente se il paziente può beneficiarne, gli verrà somministrato - osserva il farmacista cantonale-. Ma uno sguardo alla spesa complessiva diventa inevitabile».

Il nodo del discorso

E qui arriviamo al punto dolente dell’intera discussione, in quanto per questi farmaci altamente innovativi ed importanti, già da diversi anni, le aziende farmaceutiche non fissano più il prezzo in funzione dei costi di produzione e del guadagno equo, spiega Zanini, ma in virtù del beneficio individuale o collettivo che il farmaco permette di ottenere. «Questo meccanismo di fissazione del prezzo è vergognoso e va denunciato». Zanini fa un paio di esempi. «Se abbiamo un farmaco che evita una presa a carico più onerosa del paziente, allora il prezzo aumenta, perché si orienta sul risparmio che può essere ottenuto». In passato era accaduto già con i primi farmaci per curare l’ulcera allo stomaco, osserva Zanini. «Oggi costano quanto un pacchetto di caramelle. In commercio, però, sono entrati con prezzi altissimi. Una cura costava 700 franchi. L’alternativa però era l’intervento chirurgico, più costoso e anche più rischioso. Pertanto, il farmaco, anche a quel prezzo, era comunque più conveniente».

Questione di equilibrio

Come in altre situazioni, anche in questo caso si tratta di trovare un giusto equilibrio. Secondo Zanini «è giusto e doveroso che l’industria farmaceutica possa contare su profitti particolarmente alti in caso di scoperta di un farmaco fondamentale per il bene dei pazienti o della collettività». La ricerca medica ha infatti bisogno di tantissimi soldi e gli investitori saranno attirati soltanto se i profitti saranno elevati. Secondo i farmacista cantonale, però «va anche ricercato un equilibrio con i costi che la società è in grado di sopportare. Certi meccanismi di fissazione dei prezzi oggi non possono più essere moralmente accettati».

Ma, chiediamo, non esiste (come per altri settori) una legge che disciplina la redditività in base ai costi? « Oggi il principio è basato sulla contrattazione tra chi ha il prodotto da vendere e, per così dire, chi lo acquista, ossia l’Ufficio federale della sanità pubblica». È chiaro che il coltello dalla parte del manico lo ha l’industria farmaceutica. Un esempio? «Se in Svizzera riteniamo che il prezzo di un farmaco non sia accettabile e di conseguenza non lo mettiamo in commercio, saranno i malati a lamentarsi che non lo hanno a disposizione. E alla fine saremo magari costretti a doverlo importare, accettando passivamente il prezzo del Paese vicino. L’unica strada per uscire dal vicolo cieco - conclude Zanini - è definire i prezzi a livello internazionale (o perlomeno continentale) con un’unica trattativa. «Senza un accordo sul prezzo, il farmaco non sarebbe disponibile da nessuna parte. E questo chiaramente non sarebbe nell’interesse del produttore».

La spesa per i medicamenti in Ticino negli ultimi anni è cresciuta in maniera costante fino a raggiungere quasi il 20% della spesa LAMal complessiva. Nel 2022 questa voce ha raggiunto per il nostro cantone 349 milioni di franchi. Oltre 9 miliardi, invece, a livello nazionale.