«Pechino è senza strumenti per arginare la crisi immobiliare»

Negli scorsi giorni le difficoltà delle società immobiliari cinesi Evergrande e Zhongrong hanno prodotto timori che hanno fatto calare le Borse occidentali (che ieri invece erano in rialzo). Qual è la situazione reale dell’economia cinese, e cosa può fare il Governo di Pechino per arginare la crisi? Ne abbiamo parlato con Alessia Amighini, esperta di Cina e professoressa all’Università del Piemonte Orientale
Dopo tutto quello che è successo, ora quali misure può adottare cinese per rilanciare il settore immobiliare?
«La banca centrale sta abbassando i tassi - sottolinea - ma sarà un palliativo che non servirà assolutamente a nulla. Questo perché il problema della Cina non è il credito troppo costoso oppure i tassi elevati che frenano gli investimenti, e quindi ridurre il costo del denaro non serve a nulla. La verità è che il Governo cinese al momento non può fare nient’altro, perché non c’è niente che funzioni in questa situazione. L’unica speranza è di convincere la gente a tenere duro e a non scendere per strada a protestare. Anche se avrebbero tutti i diritti per farlo, perché hanno perso i soldi e non potranno finire le case che stanno costruendo, dato che ci sono migliaia di progetti di costruzione che non vengono portati avanti perché le società immobiliari non hanno più soldi».
E quali effetti potrebbero avere le difficoltà della Cina sull’economia mondiale e sui mercati finanziari globali?
«Purtroppo i mercati finanziari applicano criteri molto semplicistici ai loro investimenti finanziari, mentre gli imprenditori hanno bisogno di ben altre informazioni, molto più approfondite».
Lei sostiene che c’è stata una mancanza di informazioni a livello di investimenti finanziari?
«Certo, le Borse mondiali si sono fatte spaventare dal fallimento di Evergrande perché non conoscevano la situazione reale. Evergrande da tempo era solo una struttura vuota, che non poteva sostenere i propri debiti. Il fatto che i mercati non conoscessero la situazione è davvero molto grave e preoccupante. Purtroppo i mercati si basano su due o tre «numeretti» per decidere dove destinare i capitali, come crescita, inflazione e disoccupazione. E per loro la Cina che cresce al 5% è un dato che impressiona. Ma questa on è la lettura corretta della situazione, e ora molti investitori e molti fondi hanno nei portafogli troppi titoli cinesi, che oggi non sono per nulla sicuri. Ora ogni esposizione superiore allo zero sul mercato cinese è eccessiva. È dal 2008 che il settore immobiliare rappresentava almeno il 30% della crescita del PIL. Così, tutti i titoli che erano considerati convenienti ora non lo sono più. Gli strumenti legati al settore immobiliare rappresentano oltre il 60% dei prodotti fiduciari in default, rispetto a meno del 10% nel 2018. E il Governo di Pechino non salva nessuno, perché non ci sono più risorse».


Quali sono le conseguenze di queste scelte dei mercati finanziari?
«Purtroppo i mercati finanziari, con la loro visione parziale, ci costringono a scelte scellerate, sia politicamente, sia eticamente. Questo perché chiedono agli Stati occidentali di non litigate con la Cina, perché in caso contrario le casse pensioni nazionali perderebbero moltissimo. E se i loro investimenti finanziari vanno male comunque, vogliono essere salvati dallo Stato. Infatti i grandi fondi pensione sono esposti sul mercato cinese, e se perdono diranno ai politici: voi ci avete dato il via libera, ora ci salvate con i soldi dei contribuenti. Non abbiamo imparato le lezioni del passato. Questo meccanismo è pessimo. Insomma, i mercati finanziari sono troppo superficiali, e prendono delle derive pericolose. Soprattutto quando si tratta di questi Paesi poco affidabili come la Cina. Gli imprenditori invece hanno bisogno di sapere veramente come vanno le cose, e guardano agli aspetti reali dell’economia».
Qual è il suo giudizio sulla salute complessiva dell’economia cinese in questo momento?
«L’economia cinese si trova ad affrontare alcuni nodi strutturali, che la politica fa molta fatica a gestire. Questo perché il Paese ha bisogno di creare molti nuovi posti di lavoro, soprattutto per i giovani, e non ce la fa più. La crescita esagerata degli ultimi anni ha portato il motore economico a ingolfarsi, e ora bisogna trovare degli strumenti per ripararlo. Il Partito comunista fa fatica, perché deve ri-allocare il capitale verso settori promettenti e in crescita, e non creare città fantasma senza abitanti. Dovrebbe creare anche un sistema di welfare moderno, soprattutto a livello pensionistico, perché i cinesi risparmiano molto per la vecchiaia, e questo risparmio lo tesorizzano e non si trasforma in consumo. Ma queste grosse riforme il Partito non le vuole fare. Insomma, il problema è politico e sociale prima che economico, finanziario e fiscale».