Per le donne, la vita, la libertà

«Molte persone sono state uccise, però la gente ha deciso di pagare il prezzo per la libertà». L’Iran, la sua gente, sta combattendo per la libertà. Le parole sono di Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace del 2003. Parole consegnate al Corriere del Ticino e ai suoi lettori in occasione dell’ultima edizione di ChiassoLetteraria, di cui la prima donna magistrato del suo Paese era ospite. Parole che tornano d’attualità oggi, di fronte all’assegnazione del nuovo Premio Nobel per la pace a un’altra coraggiosa donna iraniana, Narges Mohammadi, attivista, arrestata più volte, condannata a trent’anni di carcere, frustata, aggredita. Ma orgogliosa, come orgogliose hanno dimostrato di essere tutte le donne dell’Iran. La stessa Shirin Ebadi, ci diceva: «Più il livello di violenza cresce, più la gente si riversa nelle strade a protestare. È doloroso vedere come in questo momento avvelenino le ragazze nelle scuole. Però queste ragazze continuano ad andarci perché sanno bene di non poter avere nessun futuro con questo regime».
Il caso di Armita
Il legame tra Shirin Ebadi e Narges Mohammadi è diretto e ben precedente ai Nobel. Nel 2009 infatti Narges Mohammadi diventava vicepresidente di quel DHRC, il Defenders of Human Rights Center, fondato proprio da Shirin Ebadi con l’obiettivo di tutelare e promuovere i diritti dei dissidenti politici, delle donne e delle minoranze. Dove non arrivano i centri, arriva il popolo. Più il regime di Teheran si fa repressivo, più il popolo si fa trovare presente. Proprio come diceva Shirin Ebadi. Anche per questo motivo ora il regime teme che l’ennesimo pestaggio si possa trasformare in un nuovo boomerang. Proprio come accaduto con l’uccisione di Mahsa Amini il 16 settembre 2022, l’aggressione alla sedicenne Armita Garavand - ora in coma - da parte della polizia morale potrebbe scatenare nuove proteste, una nuova ondata di manifestazioni. Al grido «Donna, Vita, Libertà». Armita, semplicemente, non indossava il velo islamico. Saghi Gholipour, di Free Iran Switzerland, spiega: «In Iran è in vigore l’apartheid di genere. Anche se nell’ultimo anno molto è cambiato a livello sociale a favore delle donne, la situazione legale è ancora la stessa. Anzi, è stata addirittura inasprita. La sedicenne Armita Garavand è uscita di casa senza velo e si stava recando a scuola. In metropolitana, secondo quanto riportato, è stata picchiata dalla polizia morale e, cadendo, ha sbattuto la testa. Da domenica la ragazza è in coma e lotta per la vita». È difficile immaginare che cosa significhi, oggi, essere iraniani. «Oggi, in realtà, sono felice di essere iraniana, come Narges Mohammadi». Saghi Gholipour, poi, torna proprio a parlare di coraggio. Sì. «Il coraggio e la resistenza del popolo, soprattutto delle giovani donne, sono impressionanti». Al contempo, dice, «osservo con preoccupazione l’aumento della repressione: Armita Garavand, che è stata picchiata a morte; Zahra Hatami, che è stata allontanata da scuola e spinta al suicidio a causa delle unghie lucidate; e tutte le innumerevoli donne che vengono attaccate per strada perché non indossano il velo».
L'impegno
E allora, proprio per questo, il Premio Nobel di quest’anno ha un senso speciale. A un anno dalla morte di Mahsa, di fronte a queste nuove violenze, e pensando alla stessa Narges Mohammadi, attualmente incarcerata, chissà in quali condizioni. «Il Premio Nobel è innanzitutto un riconoscimento del lavoro prezioso e coraggioso che Narges Mohammadi svolge da decenni», spiega ancora Saghi Gholipour. «Si batte per i diritti umani e per i diritti delle donne e si impegna per l’abolizione della pena di morte. Soprattutto ora, dopo un anno in cui gli iraniani si sono battuti per il cambiamento del regime sotto la bandiera di “Donna, Vita, Libertà”, questo dimostra che le persone sono ascoltate. La loro ricerca di libertà, democrazia e diritti umani viene finalmente riconosciuta». Narges Mohammadi, insomma, questo è: è il nuovo Premio Nobel per la pace, il suo nome rimarrà quindi nelle enciclopedie e ci permetterà così di ricordare questo preciso momento storico, questa epoca, questo Iran. «Narges Mohammadi è il simbolo della resistenza contro il regime dell’ingiustizia. L’anno scorso, nonostante stia scontando una pena detentiva nella famigerata prigione di Evin, si è schierata a favore del Movimento “Donna, Vita, Libertà”. È una delle portavoce del movimento rivoluzionario. Lo scorso inverno ha pubblicato un libro e un film in cui affronta la questione della “tortura bianca” e degli abusi sessuali in carcere.
Che cosa aspettarsi dal mondo?
L’Europa, più in generale l’Occidente, osserva da una certa distanza tutto questo. Ha partecipato al dolore, alle manifestazioni di rabbia, delle iraniane e degli iraniani. E poi? Che cosa si aspetta l’Iran dal resto del mondo, al di là di questo pur prezioso Nobel per la pace. «La Repubblica islamica ha già perso ogni legittimità», dice ancora la voce di Free Iran Switzerland. Che poi conclude: «La rivoluzione è avvenuta nelle menti e nei cuori del popolo. Ora la comunità internazionale deve finalmente agire e isolare di fatto la Repubblica islamica». E allora «chiediamo: niente negoziati con gli assassini, niente trasferimenti finanziari come quelli effettuati di recente dalla Banca nazionale svizzera. E infine sanzioni personalizzate contro l’élite di potere». Insomma, qualcosa di più.